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Episodio 4 Arte e artigianato. Che cos’è oggi un artista? Che cos’era ieri un artigiano?

Aggiornamento: 17 mar 2020

Artista e Artigiano: due figure accomunate da un minimo comune denominatore, due volti che anticamente hanno fatto parte di un’unica entità. In questo episodio di Ars Mundi. Origine Tradizione Evoluzione, analizzeremo come sono mutati questi due mestieri nel corso dei secoli.


Al sorgere di queste due vocazioni troviamo l’intelletto, elemento unificante che muove i fili dell’artefice, mosso da curiosità e voglia di sapere. Una delle domande che un uomo ingegnoso si pone è:


«Come risolvere questo problema?».


Dal quesito, emergono diverse soluzioni (più o meno) idonee alla risoluzione del dilemma.


«Come faccio a spostare o a spostarmi?».


L’homo sapiens, per questa necessità, inventa la ruota, intuendone le potenzialità e la comodità.


Superata la fase di necessità, l’uomo si cimenta con un’altra problematica, che è quella estetica:

«Come risolvere la sterilità del materiale?».


Nasce, così, la decorazione: una sorta di funzionalità data dall’apparato superficiale. La stessa funzionalità che hanno i dipinti murali all’interno delle catacombe paleocristiane, realizzati sia con mansione catechetica (per chi non sapeva leggere gli scritti sacri), sia con mansione segnaletica (servivano ad orientare chi si addentrava in quegli oscuri labirinti).


Per tutto il periodo Medievale, compito dell’artigiano non era solo realizzare mobili, ma anche risolvere la piacevolezza visiva, impreziosendoli con la decorazione. Raramente riusciamo a trovare dei lavori del periodo medievale (cassapanche, pitture murali, sculture e dipinti su legno) firmati dall’autore che li ha realizzati [fig 1].

[Fig. 1] Estratto da Spanish Book of Hours, 1461, un artigiano e la sua famiglia

n pieno Quattrocento, col Rinascimento, si assiste alla graduale emancipazione del pittore come figura autonoma, subordinata agli esclusivi voleri della committenza. Si affermano le botteghe dei maestri, che per rispondere a una domanda elevata si servono di giovani apprendisti. Questi giovani, a cui viene offerto vitto e alloggio, vengono addestrati ai trucchi del mestiere, in particolare a preparare la mescola (composizione segreta ed esclusiva di uno o più colori), diversa da bottega a bottega, e a copiare pedissequamente i modelli preparati, portando a termine il lavoro che viene visionato, finalizzato e firmato dal loro capobottega [fig 2].

[Fig. 2] Bottega di Luca Cranach, Ritratto di Filippo I di Pomerania, Museo Nazionale Settino

Il massimo per un pittore è entrare nelle grazie di un ricco signore amante delle arti, che gli offre lavoro a tempo indeterminato. Col passare degli anni, il pittore diventa sempre più una personalità poliedrica, ruota con poeti, filosofi e scrittori attorno alla figura del mecenate [fig. 3], e via via abbandonando le spoglie di artigiano, si avvicina sempre di più alla figura di un libero pensatore, un intellettuale. Nasce, così, l’esigenza di affermare i propri meriti sul campo, inizia a firmare i propri lavori, discostandosi dalla produzione in serie, prerogativa di bottega, cioè, dalla produzione di massa, realizzando opere uniche e irripetibili.

[fig. 3] Botticelli, Ritratto di Giuliano de’ Medici, 1478-1480, Nazional Gallery of Art, Washington

Le botteghe sono sempre un ottimo punto di inizio, anche se molti artisti preferiscono di gran lunga la vita solitaria, perseguono la loro personale e intima ricerca tenendo privati i loro trucchi che non desiderano condividere con nessuno. Spesso un elemento stilistico o un certo impasto cromatico consente una rapida riconoscibilità, diventando un marchio di fabbrica: il rosso Tiziano ad esempio.


Nel Seicento, l’artista sempre più indipendente entra nel mondo degli affari. Con gran fiuto e prospettiva di un maggiore guadagno alletta i ricchi signori, destreggiandosi tra le corti e la crema della società.


Questa ascesa sociale si attenua nell’Ottocento. Verso la fine del secolo, del lontano cugino artigiano e della sua controparte virtuosa rimane ben poco. Si assiste alla nascita di un nuovo mito, “l’artista maledetto”: il reietto, l’avverso e l’escluso dalla società, che non dipinge più per necessità, ma per scelta [fig. 4].

[fig. 4] Edgar Degas, L’Assenzio, 1875-1876, Musèe d’Orsay, Parigi

Le attività artistiche e artigianali, inizialmente, hanno delle prerogative abbastanza analoghe, sia perché generanti da creatività e manualità, sia perché animate da sperimentazione, con la differenza che la sperimentazione artigianale è funzionale alla risoluzione dei problemi tecnici o tecnologici del materiale:


«Come riesco ad assemblare due estremità di legno tra loro?».


Invece la sperimentazione artistica risolve delle problematiche di proiezione:


«Come faccio a riprodurre il colore o l’effetto che sto pensando?».


Per riuscire ad individuare la sorgente di questa scissione sarebbe il caso di comprendere la differenza tra ars e ingenium.


Col termine “ars”, si identifica la conoscenza della materia, ovvero, l’abilità manuale nel piegare col proprio volere la materia rendendola duttile alla volontà dell’artefice. L’artigiano incanala la sua concentrazione nel perfezionamento delle abilità tecniche “ars”, fino ad arrivare a una feticizzazione del materiale (supporto e mezzi), approfondendo superficialmente il discorso intellettualistico. In esso vi è una mancanza di “ingenium”.


Col termine “ingenium”, si indica, invece, la capacità di immaginazione, attraverso la composizione e il soggetto di un messaggio, quanto più vicino all’idea e alla comprensione universale di esso, attraverso gli elementi dell’immagine.


Nel secondo Novecento, l’artista, che spesso ha solo poche conoscenze sulla materia o sul materiale, ha come unico obiettivo il contenuto intrinseco dell’opera. Caso eclatante è quello di Maurizio Cattelan (esatto! Quello della banana scotchata al muro), che sviluppa soltanto l’idea “ingeniun”, servendosi di terzi per l’effettiva esecuzione dell’opera. In esso vi è un’ovvia mancanza di “ars”.


<< Piccola parentesi su Cattelan e la sua ultima opera.

Non spenderò né parole di merito, né di demerito sul significato o sul valore di "Comedian" [fig. 5]. Ciò che farò sarà analizzare l’opera in chiave storica e linguistica. Vi invito, per avere ancora più chiaro il mio orientamento, a leggere l’Episodio 1 di “Ars Mundi” in cui parlo di Lingua e Linguaggio.


L’Arte Concettuale (nata negli Anni Settanta) ha sempre previsto delle azioni che inducono alla riflessione, in cui gli elementi dell’opera (più e meno tangibili) interagiscono con autore e/o fruitori (tradizione, tra l'altro, avviata con Marcel Duchamp e i suoi ready-made[1] dal 1913). Un sistema linguistico (Lingua), già affrontato, che addizionato ai motivi ricorrenti dell’operazione artistica di Cattelan (discorsi moralisti che “smascherano” la bassezza dell’uomo o del sistema dell’arte + la scenografica pratica di attaccare con dello scotch cose e persone al muro = Linguaggio), rende il suo discorso parecchio anacronistico e per nulla utile a un accrescimento intellettuale e spirituale dell’uomo del nostro tempo.

Un argomento trito e ritrito che mi fa riflettere più sulla serialità del contenuto dell’opera, anziché sulla sua originalità.

[fig. 5] Maurizio Cattelan, "Comedian", 2019, materiali organici, Miami

L’attività artistica è un processo meccanico, intellettuale/manuale, che richiede dedizione e continua ricerca. Il Novecento, con la profusione delle correnti artistiche delle Avanguardie e delle neo-avanguardie divide nei pareri il pubblico. Esiste un pubblico che ancora si commuove davanti alla bravura di un artista che riproduce la realtà nel modo più reale possibile (grazie alla sua ars), guardando con sospetto le opere di altri artisti, che non riproducono più il reale (bensì l’invisibile), considerandoli dei mistificatori o degli opportunisti, che cavalcano l’onda del Novecento, con tutte le loro stranezze ormai storicizzate.


Esiste, invece, un altro pubblico che cerca l’invisibile, o meglio, fa finta di cercarlo e trovarlo nei lavori informali, tra stratificazioni di colore e segni ingarbugliati poco comprensibili. Soddisfatto per la sua grande sensibilità nel vedere cose che gli altri non sanno vedere, in realtà non sa cosa si cela dietro una crosta di colore.


Un artista, di solito, mira a trovare una linea stilistica (linguaggio/variante) diversa dalle altre, per una rapida riconoscibilità e per affermare la sua unicità. L’artista, però, non deve tradire l’arte.

Jackson Pollock, col suo dripping, realizzava delle opere che potrebbero essere copiate da un abile imbrattatele [fig. 6]. Ma la scelta di Pollock, non era dettata da una comodità funzionale, bensì da un discorso linguistico. Se osserviamo i disegni di questo autore, si nota una grande conoscenza classica [fig. 7], per cui le sue gocciolature, non erano un espediente per aggirare il problema della forma, ma una scelta mirata.

[Fig. 6] Jackson Pollock, Sonbahar Ritmi, 1950, Metropolitan Museum of Art, New York

Ancora oggi nei centri provinciali e nei piccoli paesi si trova una certa confusione nel distinguere l’artista e l’artigiano. Ma come dare torto a un fruitore che osserva sempre più lavori post-moderni?

[fig. 7] Jackson Pollock, Senza Titolo, 1937-1939, Metropolitan Museum of Art, New York

Che cos’è un artista oggi? E un artigiano?


La parola artigianato è composta da: “arti-gia-nato” = arte già nata. Il termine, quindi, fa supporre a un’attività di riflesso in cui le manovre e le azioni sono dettate da uno schema predefinito, formato da una serie di step e di processi meccanici che generano il prodotto finito, ad esempio: un’anfora in terracotta, la cui matrice (primo pezzo) è da considerarsi un prodotto di ricerca dove confluiscono, sia necessità funzionali, che estetiche. Tutto quello che viene dopo la realizzazione della matrice rappresenta un prodotto in serie e quindi artigianale.


Ma per artigianato non consideriamo solo queste nobili attività che esistono da secoli. Anche l’operazione artistica può sfociare nella trappola dell’artigianato, e ciò, è palese soprattutto nelle opere di diversi artisti che scelgono un unico elemento, serializzandolo in tutte le loro opere. Questo problema si accentua in opere post-moderne, quando l’artefice (scegliendo un elemento di riconoscibilità) importando un “oggetto” nuovo nell’arte, viene ricordato non per i suoi meriti linguistici, ma per la sua particolarità.


Questa ridondanza del soggetto e del materiale serializza il prodotto artistico, facendolo diventare una sorta di “artigianato contemporaneo”.


Trovo che l’artista del nostro tempo (anche se intossicato dal marasma del post-modern) debba sperimentare e ricercare stimoli nuovi, utili a rinnovare la propria arte, disciplinando lo spettatore sul valore delle cose visibili e ancor più sul valore delle cose invisibili.


Anthony Francesco Bentivegna


[1] Come si arriva al ready-made: Il Dadaismo nasce a Zurigo nel 1913 e ha l’obiettivo di desacralizzare, provocare, stupire e anche sconvolgere. La forte critica mossa alla musealizzazione, ripropone per certi versi quella del Futurismo, ma se quest’ultimo mira a distruggere il museo, il Dadaismo intende mostrare al fruitore i vari bug del sistema. L’esposizione dell’orinatoio di Duchamp servì a comprendere quali fossero i canoni minimi per far diventare un oggetto un’opera d’arte. L’utilizzo del ready-made sta nell’attribuire a un oggetto una funzione diversa dalla sua funzione naturale. Cfr. G. Cricco, F.P. Di Teodoro, Itinerario nell’arte. Dall'Età dei Lumi ai giorni nostri, Zanichelli, 2012, pp. 822-827.


Pubblicato in: "Il Fatto Popolare - settimanale di fatti locali e nazionali", Numero 269 del 11/05/2018 Anno VII - 2018, pp. 10-12; Ars Mundi. Origine |Tradizione |Evoluzione, in Tinkit-magazine.com 19/12/2019

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