Primaria funzione dell’arte è quella di offrire al fruitore uno svariato numero di informazioni differenti o analoghe nel corso dello spazio e del tempo. Se un’opera comunica solo ed esclusivamente un unico e ridondante messaggio nell’arco di dieci, cento, mille anni, allora qualcosa è andato storto…
Riflettendo sul ciclo “Black Friday” dell’artista Franco Accursio Gulino, sorgono diversi spunti di riflessione che ritengo elementi interessanti per comprendere l’ideologia dell’artista.
Se nel testo “Black Friday. Quando l’arte denuncia il consumismo” si è data larga attenzione alla struttura formale e all’epidermide pittorica (di cui l’artista si serve) per riqualificare un supporto grafico e/o fotografico (salvandolo da un destino segnato) dandogli un ulteriore significato intrinseco superiore (fisico e morale); nel seguente saggio si presta attenzione ad un contenuto maggiormente criptico che rappresenta un fondamento del Kunstwollen di Gulino.
Una volontà artistica che più di rappresentare un intero territorio o tempo manifesta la personalità di minoranze culturali (con canoni differenti da quelli dell’uomo comune), generando una “clandestinità culturale”, ovvero, il disagio avvertito da menti brillanti e fantasiose nei confronti di una società sempre più omologata e dedita alla ricerca di valori effimeri.
Franco Accursio Gulino avverte il disagio del nostro tempo, che parallelamente al progresso tecnologico vive un medioevo spirituale, culturale e di conseguenza artistico. Black Friday non è solo la mercificazione del prodotto artistico, non è solo la denuncia e la riflessione sul sistema dell’arte corrotto dal mercato, ma è un forte grido verso la società che da fruitore attivo è diventato spettatore passivo.
Il tracollo postmoderno si stigmatizza in tre canali: artista, critico-gallerista e fruitore.
Quindi, cos’è “Black Friday”?
Black Friday è la sedimentazione che Gulino combatte: il rifugio stilistico e manieristico di “artisti” che scelgono di seguire un filone, una riconoscibilità per dar sfogo al loro egocentrismo.
Cos’è principalmente l’artista, se non un “comunicatore”?
Paragoniamo gli strumenti linguistici essenziali come forma e colore a delle lettere dell’alfabeto. La combinazione multipla tra di loro consente la stesura di infinite parole. Se ricercassimo sempre le stesse combinazioni non avremmo un vocabolario limitato?
Paragoniamo dei soggetti a delle parole (formate da lettere). La combinazione multipla tra diverse parole consente la stesura di infinite frasi, che esprimono a loro volta un’infinita quantità di concetti. Se utilizzassimo sempre le stesse frasi, alternando la loro posizione, non avremmo una quantità di concetti concreti limitati?
È l’accrescere continuamente del nostro vocabolario che ci consente di esprimere concetti sempre più complessi e articolati, e Gulino lo sa bene! Ecco perché ha sempre cercato di arricchire il suo linguaggio iconico, non rinunciando né alla formale che all’informale.
La paura della mancata riconoscibilità limita il fare artistico, rendendo le opere spesso contenutisticamente limitate, se non prive di un significato intrinseco.
Franco Accursio Gulino avverte la paura di molti suoi coevi nell’affrontare il dramma artistico con tutte le controindicazioni che porta, e tale denuncia tramuta gli artisti in meri mercanti d’immagine che cercano di vendere la “loro arte” seguendo un rapporto di minimo sforzo - massimo risultato, rinunciando al fascino di entrare dentro la pittura e vivere secondo le sue leggi.
Anche la critica riflette questo reflusso, e spesso non è chiamata a giudicare, ma a elogiare le doti del proprio “cliente”, a ritagliargli e ricucirgli un determinato filone o maniera, giustificando, anche forzatamente, il suo operato. I critici d’arte, ormai, servono allo spettatore (non più fruitore) la solita minestra riscaldata: «è un’interprete della neo-figurazione…»; «ha appreso la lezione di “uno”, anziché, “l’altro”…» e concordano con il gallerista se è il caso di promuoverlo.
Incredibile, ma vero, la vera arte esiste anche senza le critiche bislacche, perché un vero artista è il comunicatore per eccellenza, che si serve del medium per comunicare la propria parabola.
Il commercio dell’arte è esistito da sempre, anche prima della figura del gallerista. Quest’ultimo, fiutando l’affare e il cliente giusto, impone all’artista una determinata serie “serializzata”, facendolo sfociare nella macchietta del pittore che realizza come una macchina industriale lo stesso prodotto decine di migliaia di volte.
L’obiettivo di Gulino è di scuotere il fruitore per rianimarlo e risvegliarlo dalla trance della sterile situazione artistica contemporanea, affinché possa riflettere davanti al significato nascosto delle sue opere, cercando di discernere un messaggio ben celato da uno strabiliante effetto visivo effimero. Ragionare con la pancia, anziché col cervello, è uno dei problemi che maggiormente affligge il pubblico dell’arte, perchè in genere si preferisce una pietanza allettante che un’amara medicina (benefica). La mancanza d’interesse, motivata anche dalla nostra epoca, rende la strada più complessa alla comprensione artistica, molto spesso per via della pigrizia dell’uomo.
Le cause di questa crisi sono anche l’ignoranza e l’omertà: far finta di non sapere, per non affrontare qualcosa di complesso. Auto-convincersi che all’interno del contenitore non c’è nulla si evita la noia di aprire il vaso di Pandora. È per questo, si cerca spesso l’opera gradevole, leziosa, di facile e rapida comprensione: fermarsi all’apparenza, insomma!
La definizione scelta da Gulino “Black Friday” evoca naturalmente un’arte in saldo, a buon mercato, e la consapevolezza che un’oggetto è scontato rende il compratore desideroso e vorace di possederlo con un prezzo ribassato.
La discussione portata avanti dall’artista ha fondo etico e morale, e si incentra sull’integrità dell’essere artista, sull’autenticità di essere critico e sull’interesse del fruitore. Questo è il “Black Friday”!
Non solo la svendita spirituale o commerciale dell’opera. Ma l’emersione delle peculiarità della vera arte: quella senza regole di mercato, senza canoni stilistici e manieristici.
Anthony Francesco Bentivegna
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