Ars Mundi. Origine Tradizione Evoluzione. In questo episodio e nei seguenti affronteremo la dualità tra forma e colore, cercheremo di comprendere se questi due elementi (come le lettere che formano una parola e a loro volta una frase) fanno parte dell’apparato linguistico dell’arte. C’è stata un’evoluzione o un mutamento nell’interpretazione degli autori di Sciacca nell’arco degli ultimi cinquant’anni?
A Sciacca, durante il Novecento, si sviluppano quasi parallelamente quattro generazioni di artisti, ognuna delle quali potrebbe incanalarsi in un certo contesto artistico e le sue opere essere lette attraverso un parametro linguistico differente, per cui preferisco parlare di mutamento, anziché di effettiva evoluzione.
Oggi ci soffermeremo sull’evoluzione del colore, analizzando la pittura di Leonardo Fisco, Franco Accursio Gulino e ACA.
Mi sono interrogato sulla discendenza, ma soprattutto sulla volontà e sull’intento di questi tre artisti di gestire, dominare e controllare il colore. In Fisco notiamo un approccio più istintivo e psicologico, in Gulino un approccio più poetico e tecnico, in ACA un approccio più analitico e sequenziale. Possono crearsi delle connessioni? Credo proprio di no, visto che Sciacca ha sempre avuto questa identità artistica non unitaria.
Vedo nel colore un importante strumento di comunicazione per l’artista, ma, paradossalmente, non necessario. Se provassimo a sostituire i colori, oppure, ad invertirli, come se adoperassimo Adobe Photoshop CC, cosa verrebbe fuori?
Nel caso di Leonardo Fisco, tale azione sarebbe impensabile, in quanto egli motiva la sua scelta cromatica attribuendola alla sua indole sicula; Franco Accursio Gulino, invece, non si pone come obiettivo una colorazione singola, ma il predominio della materia stessa, alterandola. Per ACA, il colore è un elemento funzionale alla leggibilità dei segni-freccia, segni-numero e segni-unità all’interno di un percorso spazio-temporale.
Proviamo ad immaginare le loro opere in assenza di colori, ma per far ciò dobbiamo avvalerci dei loro disegni e schizzi preparatori. Nel caso di Leonardo Fisco, il colore è elemento essenziale per il suo discorso, perché i bruschi contrasti che troviamo nella sua pittura provocano un certo cortocircuito emotivo nel fruitore. Franco Accursio Gulino, rinunciando più volte al colore si concentra sull’acromia del bianco e del nero, però, nel suo caso, non sentiamo la mancanza del colore, proprio perché ci ha abituato a farne a meno. Il colore-vettore di ACA orienta lo spettatore, infatti, quando viene sequenzializzato, in maniera autonoma (grazie al contare logico), ci rivela dei movimenti percettivi inediti e personali all’interno del percorso spazio-temporale dell’opera.
Anche Fisco e ACA fanno a meno del colore, molte delle loro esecuzioni ed elaborazioni, infatti, sono in bianco e nero.
Un’altra sostanziale differenza sta nella personale gestione del colore: in Leonardo Fisco si nota una concentrazione primaria e complementare che mantiene il colore il più possibile puro. Le volte in cui troviamo la liquefazione tra due colori è merito della stratificazione tra essi, ossia, nella sovrapposizione di un colore sopra l’altro che fa risultare il segno ardito, fluido, senza ripensamenti e interamente istintivo. Franco Accursio Gulino, invece, tende a una naturale contaminazione sorgiva del colore che si altera ulteriormente durante l’essicazione dello stesso. Egli vede nel colore un ulteriore supporto su cui poter agire incidendolo, invecchiandolo o frantumando la sua conformazione materica. In ACA noto una certa schematicità nell’adoperare il colore, non imputabile a timore o indecisione, bensì, ad una struttura mentale più incline ad una funzionalità linguistica che compositiva o decorativa. Le scomposizioni tecniche del colore, inerenti la sua consistenza materica, così come le sue varie armonie compositive conducono l’artista ad una frantumazione molecolare del colore in chiave sequenziali: superficie > linea > punto.
Se nell’arco di cento anni il colore analogico cadrebbe in disuso e l’uomo si avvalesse di software (Tilt Brush – programma di grafica 3D) e hardware (visore di realtà) avanzati, egli potrebbe realmente entrare nel colore per coglierne la sua essenza?
Certo, mancherebbero tutte le sensazioni accessorie della pittura classica: l’odore dell’acqua raggia, la paranoia di macchiarsi, ma nel giro di qualche anno tali lacune verrebbero livellate.
Sicuramente, anche questa tecnologia (molto vicina a noi,) troverebbe come ostacolo il parere negativo dei puristi, ostacolo che si è affrontato durante il lancio sul mercato del colore a tubetto, da essi considerato una subdola scorciatoia.
Forse per un’evoluzione linguistica del colore occorrerebbe andare oltre la sua referenzialità (mìmesis) e persino oltre il suo valore intrinseco (sensoriale/Avanguardie), in direzione di un’ulteriore funzionalità del colore veicolato attraverso un percorso spazio temporale espressivo.
Intervista a Leonardo Fisco, Sciacca 8 maggio 2018.
L.F.: “Il colore è connesso al tipo di luce del luogo in cui vive l’artista che lo utilizza. Esso scaturisce e si manifesta in modo diverso, in base al temperamento e alla psiche.
Tu mi vedi così, calmo, mite, timido, ma durante l’esecuzione emerge fuori il mio altro “io”, quello violento, quello brutale. Infatti, tramite il colore affronto la tela, scaricandole addosso tutte le mie emozioni, in un duello, oserei dire all’ultimo sangue. Nella foga domina l’inconscio: non penso quali colori usare, lascio fare al mio altro “io” e alla casualità. In un certo senso è come se il colore mi chiamasse a sé.
I colori che principalmente uso sono il rosso, il giallo, il verde, il nero e il bianco. Del perché di questa selezione inconscia ne ho parlato con uno psicologo, che ha attribuito le mie scelte al territorio attorno a me: il bianco è il colore delle pareti, il rosso come il giallo, provengono dal sole, il blu dal cielo e il verde dalle campagne. Tutto ciò, per farmi notare che la mia percezione era suggestionata dai colori mediterranei provenienti dal territorio in cui vivo.
Nel periodo giovanile vivevo con la mia famiglia in una casa buia, ed effettivamente i quadri di quegli anni erano scuri e tenebrosi. O forse, perché in quel periodo Caravaggio trovava la sua fortuna critica e noi giovani volevamo imitarlo?
In rare occasioni utilizzo i grigi o i colori secondari come il viola, li evito perché non li sento. Invece il rosso e il giallo sono di certo colori che mi trasmettono non poche emozioni. Ricordo che una volta Nino Rossi, proprietario de “La Bottega”, a me, Vincenzo Nucci e Nino Pilotto ci diede in regalo dei colori da suddividere in parti uguali. Sia Vincenzo che Nino scartarono il rosso che io presi volentieri, senza ripensamenti.
Intendo il colore come materia tangibile da plasmare, ecco perché lo stendo senza tanti ripensamenti sulla tela. Voglio che sia spesso, viscoso, che vi si scorgano all’interno della sua stesura il segno delle setole del pennello. Quando tocco il quadro voglio sentire i vari livelli della materia, come se manipolassi l’argilla: il ceramista che è in me mi porta a cercare una superficie che non sia perfettamente spianata.
Il contrasto è fondamentale, perché fa emergere due o più colori in base alla complementarietà dei vari pigmenti. Cerco di accentuarlo in maniera più brusca possibile, rinunciando alla sfumatura.
Nei “Labirinti segnici” diedi al colore un rilievo marginale, subordinandolo solo a saltuarie campiture di zone rosse e gialle. Ma data la mia indole colorista, tornai alla colorazione. Ottimo contributo alla risoluzione del problema sul colore è stata la pittura degli espressionisti tedeschi.
Guardo i miei quadri e continuo a vederli non finiti. I vari livelli di strati di colore l’uno sull’altro, partendo dalla tela bianca, che lascio sempre nuda nella parte inferiore, sono per mostrare allo spettatore cosa si cela dietro i colori”.
Nella pittura di Fisco il colore è talmente pregnante che la forma è spesso subordinata ad un segno che evita di far disperdere il colore (anziché contenerlo).
Nei quadri degli ultimi vent’ anni, l’interlocuzione tra Fisco e il colore avviene, principalmente, attraverso due maniere: 1) campitura a zona; 2) sovrapposizioni di pennellate.
Nella prima maniera, la volontà di definire le varie zone corporee o facciali (masse) è esplicita nei grandi supporti [fig. 2].
Nella seconda maniera, presente principalmente nelle tele di media dimensione [fig. 3], egli dà maggiore identità al colore, invigorendone la sua segnicità attraverso la sovrapposizione materica e la contaminazione di due o più colori.
Nella prima maniera il colore risulta puro e saturo, mentre nella seconda è denso, viscoso, acido e alterato. La prima maniera è ottica, la seconda maniera è tattile. Tale differenza è motivata da un ipotetico tempo standard di realizzazione: un’equa distribuzione di forza lavoro in metri quadrati che, a seconda della dimensione, l’atto di scagliare forze (colore) risulta più (media dimensione) o meno (grande dimensione) impetuoso.
Se da un supporto all’altro la gestione del colore e la sua densità cromatica cambia, c’è da chiedersi (visto l’importanza che l’autore attribuisce all’inconscio) quali differenti processi mentali avvengono nella mente di Fisco durante la composizione di una tela di medie dimensione e una di grandi dimensioni. Forse una differente percezione del vuoto (bianco della tela) in relazione alla dimensione?
Intervista a Franco Accursio Gulino, Sciacca 24 maggio 2018.
F.A.G.: “Non esiste una concezione universale di colore.
Oltre l’aspetto sensoriale che varia da un individuo all’altro, l’essere umano ha una visione del colore differente da quella degli altri esseri viventi: i cani, ad esempio, percepiscono ciò che li circonda in sfumature di verde, blu, giallo e grigio; i gatti, essendo animali notturni, hanno una visione dominata da toni freddi come il grigio il verde e il blu; alcuni rettili hanno la visione termica; i bovini vedono in bianco e nero; e gli uccelli riescono a vedere i raggi ultra violetti. Sarebbe davvero interessante per me riuscire a vedere, anche per un solo giorno, il mondo come lo vedono gli animali.
L’artista riesce a percepire il colore in maniera superiore all’uomo comune. Ha un certo rispetto e un amore per esso. Ciò è dettato dalla sensibilità visiva che accresce anno dopo anno, soprattutto se lavora con assiduità. Il colore è un’eredità mnemonica generato dai suoi studi e dagli influssi del territorio.
Esistono due tipi di colori, quello descrittivo, ovvero, quello più congeniale, utilizzato soprattutto per avvicinarsi quanto più possibile alla mìmesis; e quello “mentale”. Quest’ultimo è qualcosa di personale e intimo dell’artista. Considero il colore mentale come una materia intangibile presente nella mia mente, generata da un frammento di un offuscato ricordo. L’unico modo per riprodurre il colore mentale sul supporto in maniera più fedele possibile è la pittura classica. Molti escludono quanto una corretta formazione classica sia essenziale durante la costruzione del colore (miscela) e l’esecuzione artistica. Al contrario, se non si ha questo addestramento il colore complementare utilizzato è dettato semplicemente dalla casualità.
Oggi abbiamo la comodità di avere i colori industriali. Un tubetto di rosso (eccetto qualche impercettibile gradazione) è uguale per tutti. Che senso avrebbe usarlo in questo modo? I pittori del passato avevano colori personali, realizzati con terre e ossidi, come ad esempio il lapislazzuli (che costava quanto l’oro) utilizzato da Michelangelo per “Il Giudizio Universale” della Cappella Sistina. Il rosso usato da Raffaello era pure diverso da quello usato da Tiziano. Bisogna far la differenza tra un colore asettico e un “colore dipinto”.
I quadri astratti sono un tripudio di colori ben contemplati e ragionati che acquistano un carattere morale. Se non ci fosse questo processo mentale non sarebbe pittura astratta, bensì, astrazione: un semplice e frivolo piacere estetico in cui si risiede un colore decorativo, riempitivo.
Come tutto, il colore ha il suo tempo, negli anni invecchia, si spacca, si stacca dal supporto. Uno dei baluardi della mia ricerca è proprio il tempo. Spesso mi chiedo quanti problemi avranno i futuri restauratori a cimentarsi con i miei lavori. Non si parla solo di indovinare il tono e la gradazione cromatica, dietro la stesura di un colore ci sono prove, tentativi, strati su strati, cancellature e impasti inusuali. Spesso, quando si rimuove la patina del tempo, si rimuovono anche velature e errori dell’artista che lo hanno portato al risultato finale.
Bianco e nero, luce e oscurità, completezza e assenza: rappresentano gli alteratori del colore, in quanto la presenza o l‘assenza di essi tramuta alchimicamente i colori. Concepisco il bianco e il nero come fondi, come superfici amorfe da riempire. Tempo fa ho scritto una poesia sul bianco e nero 'Lavagne'.
Vorrei essere io stesso una lavagna bianca,
per poter scrivere col gesso nero,
per fronteggiarlo, prodigioso essere semidivino,
inchiostro
che macchia seducendo il bianco
con tutta l’essenza di drammaticità
delle trame del nero
cancellato in frammenti,
in parole, pensieri e cose
mangiati e rigurgitati sul nero,
macchiati, offesi, facilmente ripetibili, cancellati.
Vorrei essere io stesso una lavagna nera,
per poi scrivere col gesso bianco,
e cancellarlo, fronteggiarlo.
Certo, il pensiero bianco
diventa sempre più bianco,
vincente, prepotente,
cancellando tutta la drammaticità
di una emergenza nera.
In ogni caso eredita la diversità bianca
giunta alla pacificazione del gene
in millenni di evoluzione,
portata a termine la conquista
in maniera non stabile
poiché il gesso bianco
si ritrova estremamente fragile
sul fondo di una lavagna nera.
Si cancella l’approssimarsi di una verità,
di un calcolo ispirato alla roulette russa
caduta sotto il dominio delle probabilità del nero.
Chi può impedire l’invasione della necessità
di vivere il condominio dell’acqua
dove traspare bene il bianco e il nero?” (1).
Il problema che mi pongo non è relativo all’invecchiamento del colore o all’effetto temporale su di esso, bensì a come sia maturato nel corso del tempo nella mente di Gulino: nel periodo della “transfigurazione” [fig.5], ad esempio, emerge un Gulino colorista, dal colore sgargiante, procace, velato, capace di simulare l’effetto dell’arcobaleno o di un’aurora boreale sui corpi.
Negli ultimi decenni, però, riduce al minimo l’impatto cromatico, senza perdere quella consapevolezza del colore, infatti, in entrambi i periodi il suo colore assume una lacerazione, uno strappo epidermico tra lo strato superiore, che mostra per velature e fessure e lo strato inferiore. Il colore per Gulino, oggi, non è quello del suo periodo giovanile (enfatizzante), ma uno strumento che gli permette di mostrare al fruitore l’invisibile: le potenzialità del supporto contemporaneo che accoglie il suo pensiero (manifesti, fogli di giornale…) [fig. 6].
È questa la connessione tra il colore e la poesia “Lavagne”? Il colore visto come ausilio alla narrazione e all’esplicazione della sua dimensione interiore, ma anche un annullatore ed un evidenziatore del non immediato visibile.
Intervista ad ACA, Sciacca 17 maggio 2018.
ACA: “Il Sequenzialismo nell’arte è una ricerca meta-linguistica sul segno, le cui componenti formali e cromatiche vengono ricalibrate secondo un parametro linguistico spazio-temporale. Sia la forma che il colore vengono subordinati linguisticamente al segno spazio-temporale, integrando la leggibilità sequenzialista sia in maniera armonica che disarmonica.
Sin dall’inizio dei miei studi ho sempre attribuito un’importanza subordinata al colore. Per via della mia formazione ‘architettonica’ l’aspetto formalistico ha maggiormente influenzato le mie prime esperienze sequenzialiste.
Inizialmente mi sono limitato a considerare il colore come mero riempitivo della forma, in quanto quest’ultima rappresentava un valore più essenziale inerente l’elaborazione del segno spazio temporale. Le differenti sequenze di tono (bianco > grigio > nero), di tinta (colori caldi > colori freddi) e di matericità dei colori (acquarello > gouache > olio) scandivano, esclusivamente, la leggibilità dei differenti percorsi segnici: segni-freccia, segni-numero e segni-unità.
In questa fase della mia ricerca avevo deliberatamente assegnato al colore un ruolo subordinato, in favore della componente formale-sequenziale del segno. Ad ogni mia ulteriore fase evolutiva eliminavo il colore, e ricorrendo al bianco e nero, per concentrarmi sulle problematicità prettamente segniche.
Nel linguaggio sequenzialista i valori sensoriali della forma e del colore non sono utilizzati in chiave compositiva ed estetica, ma secondo precisi parametri sequenziali che compongono i segni-vettori spazio temporali.
Durante lo sviluppo della lingua sequenzialista ho sempre cercato di sfuggire alla decoratività estetica, in favore di una decoratività sequenziale insita nel percorso realizzativo dell’opera. Ho provato a smorzare il colore, a renderlo meno saturo, a velarlo con i grigi, a usare soltanto il bianco e il nero.
Solo di recente, in questi ultimi mesi, sto approfondendo le problematiche del colore spazio-temporale. Partendo dalla macro-dimensione generale, sto analizzando la micro-dimensione particellare dei pigmenti. Nella visione sequenzialista, così come una linea è composta da una sequenza di punti, elaborabili in svariati percorsi significativi, anche il colore, grazie alla sua struttura molecolare, può essere incanalato nella medesima direzione. Forma e colore procedono a braccetto come le rotaie parallele di un binario”.
Intervista ad ACA, Sciacca 10 novembre 2018.
ACA: “Queste due opere binarie [figg. 8-9] hanno in comune il percorso-contenuto dominante. Un andamento sinusoidale alto-basso-alto-basso che veicola l’incertezza del titolo di entrambe le elaborazioni.
Nell’‘Elaborazione Spazio-Temporale: Incertezza Negativa con Spegnimento Finale’, il percorso inizia in basso a destra; seguendo una direzione ascendente si sviluppa attraverso i primi tre segni-vettori unità (O, OO, OOO) ai quali è associata una sequenza cromatica che parte dall’individualità di superficie dei colori rosso e blu (unità uno), prosegue (unità due) nell’alternanza lineare dei due colori che producono un principio di fusione (linea viola), e finisce (unità tre) nella polverizzazione in punti dove la tinta risultante viola ha preso il sopravvento sulle matrici rosso e blu.
Queste ‘tappe’, legate alle proprietà sequenziali e significative del colore, si muovono e interagiscono – come fossero dei vagoni – attraverso le rotaie dei segni freccia-unità: uno = in caduta/due = con indecisione alto-basso/tre= in elevazione. Il percorso principale continua indietreggiando con i segni quattro, cinque e sei (caduta e brusca risalita), per poi ricominciare da capo, uno-due-tre, con la sequenza conclusiva in caduta che porta allo spegnimento pulviscolare dei due protagonisti cromatico-sequenziali del quadro: il rosso e il blu.
Nell’‘Elaborazione Spazio-Temporale: Incertezza Positiva Appesantita’, al contrario del quadro precedente, il percorso inizia in basso a sinistra; seguendo una direzione ascendente si sviluppa attraverso i primi quattro segni-vettori unità (O, OO, OOO, OOOO) ai quali è associata una sequenza cromatica che va dall’individualità di superficie dei colori rosso e blu + il viola (unità uno), prosegue (unità due) con la riduzione della superficie dei due colori sul viola, continua (unità tre) nell’ulteriore riduzione in linee dei due valori cromatici caldo-freddo, e finisce con la loro minimizzazione in punti (unità quattro).
Queste ‘tappe’, legate alle proprietà sequenziali e significative del colore, si muovono e interagiscono – come fossero dei vagoni – attraverso le rotaie dei segni freccia-unità: uno = in caduta/due = in opposizione/tre = in elevazione/quattro = in avanzamento. Il percorso principale continua in avanti, ricominciando con i segni uno, due in caduta; tre, quattro in risalita; per poi terminare con una sequenza in discesa che ricomincia nuovamente (uno-due-tre) e che porta alla pesantezza finale, stavolta associata alla sequenza dei segni-freccia che trasportano l’ingrossamento degli elementi in verde.
Attraverso queste analisi vettoriali, le opere sequenzialiste rivelano una dimensione spazio-temporale contenutistica e significativa inedita, che si aggiunge a quella referenziale e a quella estetica; in grado di connettere l’osservatore a quei valori sequenziali che sono alla base tanto della nostra coscienza percettiva quanto dell’universo comunicativo digitale che ci circonda”.
Quindi, solo negli ultimi lavori ACA [fig. 7] sta cercando un’effettiva sequenzializzazione del colore, ma come? In due elaborazioni recenti, l’artista affronta di petto la problematica del colore.
In Elaborazione Spazio-Temporale: Incertezza Positiva Appesantita [fig. 8] e in Elaborazione Spazio-Temporale: Incertezza Negativa con Spegnimento Finale [fig. 9], il contenuto espressivo in comune è l’incertezza, che attraverso il percorso sinusoidale dei segni freccia-numero, viene resa intellegibile all’osservatore.
Nella prima elaborazione, l’incertezza si sviluppa in avanzamento: i segni-unità veicolano il colore (rosso e blu) che viene di volta in volta frantumato in particelle fino a fondersi in un terzo colore (viola). L’appesantimento è dettato dall’annullamento del colore in favore di ulteriori segni-unità che seguono la caduta in picchiata del segno-freccia appesantito.
Nella seconda elaborazione, l’incertezza si sviluppa in arretramento: il colore, inizialmente ospite dei segni-unità, riesce a liberarsi solo nella parte mediale. Con difficoltà si completa l’ascesa finale, le sue proprietà si assopiscono, vengono meno, fino ad indurre il percorso spazio-temporale allo spegnimento, che si manifesta attraverso il dissolvimento del colore secondario (viola) e attraverso lo smembramento: da superfice a linee nei colori primari (rosso, blu).
Anthony Francesco Bentivegna
NOTE
[1] F.A. Gulino, “Lavagne”, P. Nicita, Memoria. Ritratto d’artista, Catalogo della mostra, Edizioni Caracol, Palermo 2015, p.31.
Pubblicato in: Ars Mundi. Origine |Tradizione |Evoluzione, in Tinkit-magazine.com 09/01/2020; Ars Mundi. Origine |Tradizione |Evoluzione, in Tinkit-magazine.com 16/01/2020; Ars Mundi. Origine |Tradizione |Evoluzione, in Tinkit-magazine.com 23/01/2020
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