L’amore è un complesso sentimento intrinseco all'animo umano. Parte sicuramente da presupposti ottimisti e romantici, anche se, non tutte le “love story” prendono il verso giusto. Esiste un amore eterno, incondizionato e assoluto, ma, esiste anche un amore tormentato, pressante e malato.
Questo sentimento ambivalente, oltre che a manifestarsi nella vita reale, riesce a trovare la sua dimensione anche in canali come la scrittura (racconti e poesie) e l’arte (pittura, scultura, musica).
Varie sono state nell’arco dei secoli le manifestazioni di questo sentimento, sia nella sua fattispecie romantica e veritiera, basti pensare alle molteplici rappresentazioni o di Amore e Psiche o di Paolo e Francesca per arrivare poi alle più iconiche scene come Il bacio di Gustave Klimt e Il bacio di Francesco Hayez.
Anche “l’amore malato”, inteso come “anti-amore” ha avuto nell’arte degne rappresentazioni. Vediamo alcuni esempi nelle arti visive e nelle discipline performative.
Una delle tematiche a cui attribuisco le prerogative di un amore malato sono quelle della persecuzione e del rapimento.
Già nell’età antica possiamo trovare rappresentazioni di amore malato tratte dal mito, come il "Ratto d’Europa", tratto dalle Metamorfosi di Ovidio, raffigurante in un cratere custodito nel Museo Nazionale del Sannio Caudino o in una pittura murale del periodo romano.
Il mito vuole che Zeus innamoratosi di Europa, la rapisce trasformandosi in un toro bianco. Arrivati insieme nel luogo in cui si sarebbe dovuto consumare la passione di Zeus, Europa fugge per poi essere di nuovo raggiunta da Zeus con le fattezze di un aquila.
In seguito, anche artisti come Tiziano, Maarten de Vos, Rembrandt e Boucher si cimentano in questa tematica.
Il Barocco ci offre diverse rappresentazioni di questo sentimento non corrisposto. Se da un lato troviamo l’interpretazione dei temi tratti dal mondo classico, dall’altro troviamo un eccesso delle passioni che nel Neoclassicismo Wincklemann chiamerà “Parenthyrsus”.
Il ratto di Proserpina è uno dei più celebri miti tratto dalle Metamorfosi di Ovidio. Plutone, re degli inferi, visita la terra emersa nei pressi di Enna e li scorge e si innamora di Proserpina, figlia di Cerere. Il dio degli inferi rapisce Proserpina sul Lido Hipponion per farla sua. Cerere, così, chiede l’aiuto di Giove che concede a Proserpina di visitare la madre sei mesi l’anno (estate e primavere) per passare gli altri sei mesi (autunno e inverno) con il tremendo amante Plutone.
Tale mito, trova delle felici interpretazioni, alcune delle più celebri sono il gruppo scultoreo di Gian Lorenzo Bernini e le tele di Rembrandt e Luca Giordano.
Sempre nel Seicento, Gian Lorenzo Bernini attinge ancora alle Metamorfosi animando la scena nel marmo. Apollo, dio delle arti, dopo aver ucciso il serpente Pitone, va a vantarsi delle sue gesta con Cupido, che per ripicca lo colpisce con una freccia d’oro che amplifica l’amore, per poi colpire la ninfa Dafne con una seconda freccia, stavolta di piombo che riduce l’amore. Quando Apollo vede Dafne se ne innamora a tal punto da perseguitarla, mentre Dafne, sorbendo l’effetto della freccia, provava ribrezzo per il dio, tanto da pregare il padre Peneo di trasformarla per sfuggire alle sue grinfie. Così, la ninfa si trasforma in un albero d’alloro e da quel momento diventa un albero sacro per Apollo. Anche qui Bernini, riesce ad immortalare la scena proprio nell’atto di trasformazione della fanciulla.
William Shakespeare nel suo poema Lo stupro di Lucrezia, narra della vicenda romana di Lucrezia, moglie di Collatino violentata da Sesto Tarquinio folle di amore per lei. Nessuna tela come quella di Tiziano ha saputo imprimere sia la violenza dello stupratore che la paura della donna romana.
Se finora abbiamo parlato della morbosa insistenza, anche la sfiducia può generare una sorta di amore malato, rimanendo sempre nei miti greci, il "Ratto di Deianira", racconta Deianira, compagna di Ercole, rapida dal centauro Nesso. Quando Ercole lo trafisse con delle frecce. Nesso offre a Deianira il suo sangue, che versato nelle vesti di Ercole gli avrebbe impedito di guardare altre donne.
La gelosia di Deianira nei confronti della principessa Lola, la induce a intingere la tunica del marito col sangue del centauro. Ercole prende così fuoco, perché le frecce con cui uccise il centauro erano intrise col sangue avvelenato dell’Idra Lerna. Ercole stava brucia finché non viene soccorso dal padre Zeus che lo conduce nel Monte Olimpo. Tale rappresentazione è stata riprodotta da diversi artisti, tra cui Guido Reni e Luca Giordano.
Facciamo un salto in avanti fino ad arrivare al 1895 col Vampiro o Amore e Morte di Edward Munch.
In questa opera invece è rappresentato un amore che proprio come il bacio di un vampiro succhia e prosciuga la linfa vitale, un amore che forse va bene per l’uno, ma per l’altro è corrosivo e deleterio.
Anche l’atmosfera cupa e angusta rende questo bacio, un atto omicida. La donna, affascinante e ammaliatrice, morde sul collo, in un atto vampiresco l’amante. L’uomo, ignaro di ciò, avvolto dai capelli-tentacoli rossi dell’amante (mantide), sembra quasi rifugiarsi in quello che lui pensa sia la cura alla sua disperazione.
Il pittore norvegese, oltre che a rappresentare nel Vampiro l’amore corrosivo per lo spirito e per il corpo nel 1896 dipinge La separazione.
Anche qui l’aspetto introspettivo e inconscio fa da padrone. Il protagonista, rappresentato i abiti e toni scuri e lievemente collegato con la sua vecchia fiamma ormai da un impercettibile ricordo che sfiorisce fino a conformarsi con l’ambiente circostante. Il protagonista tenta di andare avanti per la sua strada, ma è bloccato da grossi fiori grondanti sangue sull’asfalto, quasi una metafora del cuore gonfio dal dolore. La tela riesce a mettere a nudo la realtà dell’abbandono.
Altro brusco passaggio è quello dalle arti figurative alle performance degli anni Settanta.
L’artista comincia a esprimere un concetto, non più attraverso le arti figurative, bensì utilizzando il proprio corpo, lo spazio e persino gli spettatori.
Una delle più forti performance che può ripercorrere la tematica di un amore malato è quella di Gina Pane, quando nel 1973 in Azione sentimentale, messa in scena nel Centro Pompidou di Parigi, vestita di bianco, con un bouquet di rose rosse in mano, stacca una ad una le spine dalle rose per poi conficcarle lungo le braccia e lasciarsi macchiare dal sangue. Con questo atto si riferisce non solo alla posizione subalterna delle donna, ma quanto l’amore (rappresentato dalla rosa), soprattutto un amore violento, può essere dannoso e controproducente.
Sempre in quegli anni, Marina Abramovic e Ulay, dal 1976, mettono in scena una serie di performance connesse l’una con l’altra dal rapporto di convivenza e amore intrapreso dai due artisti.
Le due che meglio si sposano col concetto di amore malato sono: Inesorabilmente due, dove i due amanti rimangono bocca a bocca per venti minuti, respirando l’aria dell’altro. L’aria riciclata espirata da entrambi da respiro a respiro, però, si fa sempre più satura, i polmoni si riempiono di anidride carbonica e la lucidità viene sempre meno, fino a lasciar svenire entrambi gli amanti. E infine a chiudere questo ciclo di performance è Mai più due, i due amanti, da tempo ormai protagonisti di un rapporto spento e problematico percorrono partendo dalle due estremità la Muraglia cinese fino ad incontrarsi nel mezzo dopo 90 giorni. Tutto finisce con uno sguardo, una stretta di mano per poi continuare l’un altro la propria strada.
All’interno del testo Amore Malato si trova la raccolta di "Lesbia e l’amore": una serie di disegni, inchiostri e incisioni, che il pittore sambucese Vincenzo Sciamè realizza nel 1984.
Da ciò emerge l’attrazione del pittore verso il mondo classico e la poesia. Non è un caso che decide di sviluppare in immagini l’opera di Catullo Odi et amo. La durezza del disegno, insieme a parziali parti non finite (in certi versi solo abbozzati con rapidità) aiutano l’autore a esprimere il lato subconscio del suo protagonista, Catullo, che immagina di possedere la sua Lesbia, ma anche sul rifiuto, momento in cui la sua amata diventa quasi una domatrice che tiene tra le mani una frusta con cui allontana l’insistente amante oppure la ritrae quasi con le fattezze di una Salomè sul trono.
Anche il vero artista vive questa situazione di amore malato. Un amore verso l’arte che si nutre di esso. Un amore incondizionato che non lo lascia vivere se non per servirla.
Sicuramente il pittore della domenica si diletta nell’atto di dipingere e persegue nell’alimentazione di questo vezzo. Ma l’artista, soprattutto quello incompreso dal proprio tempo, vive ogni giorno questa battaglia che difficilmente viene vinta. Nonostante ciò, è sempre fedele alla sua amata (l’arte).
Anthony Francesco Bentivegna
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