Quotidianamente veniamo bombardati da immagini, spot pubblicitari, manifesti e poster in cui promoter o influencer pubblicizzano oggetti di consumo come cibo, smartphone, profumi, abiti…
Se da un lato la riproduzione ossessiva di tali immagini fortifica il loro contenuto mediatico, dall’altro annulla la loro esclusività, rendendole semplicemente degli elementi d’arredo per negozi o dei canoni da imitare. L’immagine, figlia del progresso tecnico e digitale, diventa così, obsoleta, inutile, usa e getta, prossima al riciclo o all’inceneritore dopo la sua scadenza.
Anche nel mondo dell’Arte avviene questa speculazione onnivora dell’immagine che induce galleristi e collezionisti ad investire, non più sulla qualità o su un’intuizione linguistica, bensì sulla facilità di piazzamento di un prodotto artistico preconfezionato e di rapida riconoscibilità. Spesso anche l’autore è indotto ad entrare in questo circolo vizioso con il desiderio di soddisfare le molteplici richieste dei compratori.
Su questa incontrollata mercificazione ha qualcosa da dire Franco Accursio Gulino (Sciacca 1949), artista a tuttotondo siciliano, che conduce il fruitore ad una intensa riflessione sull’uso e sulla potenza dell’immagine.
Ma chi è Franco Accursio Gulino?
Personaggio difficile da definire: anomalo, eclettico, poliedrico. Un pittore di formazione classica, un artista contemporaneo, un poeta, un regista, un drammaturgo. Fare una classificazione disciplinare è arduo, impossibile inquadrarlo in un determinato filone stilistico.
Questa elasticità mentale gli conferisce l’abilità di mutare, dall’alba al tramonto, il suo operato e il suo approccio alla disciplina pittorica.
Ma qual è la ricetta esatta per arrivare a questa versatilità?
Lo studio dei classici consente a Gulino di conoscere appieno le intricate problematiche della materia, che sfrutta a proprio vantaggio.
Rifiutando ogni tipo di cristallizzazione stilistica e manieristica, trova nell’ignoto il suo ambito di ricerca.
Come nel riutilizzo di porte antiche e pezzi di relitti navali (realizzati da lui stesso in passato), in “Black Friday” avviene un’operazione di riqualifica, ma soprattutto di salvataggio, verso oggetti futili di uso limitato come i materiali pubblicitari.
Manifesti, poster, pubblicità e cataloghi delle collezioni d’abbigliamento diventano supporti ospitanti della pittura di Franco Accursio Gulino.
Rilevando alcune parti salienti dell’immagine stampata ne altera le espressioni facciali (come il sorriso della modella che si tramuta in un ghigno malefico o in un urlo). L’invasione del colore e della forma può enfatizzare, alterare o distruggere l’immagine-fondo.
Quello che l’artista riesce a veicolare è un significato ulteriore da quello definito dal supporto-immagine digitale. Anche parole come “SALDI”, “FUORI TUTTO”, “SOTTOCOSTO”, “PRENDI DUE PAGHI UNO” assumono valenza diversa, e insieme, sinergicamente, mutano il significato referenziale dell’immagine-base.
Ma perché si avverte la necessità di ricercare così ossessivamente il superfluo?
È la società scossa da una crisi di valori esistenziali ad indurre l’uomo a tentare di colmare il proprio vuoto goffamente con il consumo.
Nel gruppo degli “Autoritratti” l’artista riflette sulla concezione del ritratto classico viziato dalla vanità e dal narcisismo dell’autore, e annullando, distruggendo, occultando le fattezze, mette a nudo, attraverso forma e colore, la vera essenza del soggetto raffigurato.
Nel ciclo “Black Friday” rientrano alcune rappresentazioni della “Mucca Pazza”. Questo singolarissimo tema è stato già affrontato da Gulino in passato nel periodo della “Transfigurazione”.
Nonostante ciò, la “Mucca Pazza” del 2018 è ben diversa dalla concezione minotauroide degli anni passati. Ancora una volta Gulino denuncia l’uomo per l’eccessiva incuria verso il creato e i propri simili.
Anche se la malattia è stata depennata, il messaggio dell’artista è chiaro: una bulimia verso l’immagine che si traduce nel mascheramento dei soggetti. E così le belle, sensuali e procaci modelle di intimo si tramutano in un attimo in bovini dalle fattezze perturbanti e intimidatorie: un monito per l’uomo dal guardarsi dall’esasperazione che porta un’immagine alla degenerazione, perfino alla follia.
Altro soggetto che rientra nella poetica del “Black Friday” è la “Città Ideale”. Una serie di installazioni in cui Gulino non determina tanto uno spazio utopico e irrealizzabile, ma promulga la presenza sulla Terra di una disciplina nobile e ricca di valori intellettuali, dove l’uomo, nella maggior parte dei casi, viene catturato dalla sete di potere e di conquista di un territorio, distogliendo la sua attenzione da ciò che è veramente importante.
Trovo che vi sia anche un’altra chiave di lettura con cui leggere la “Città Ideale”: uno spazio in cui incombe una lotta contro le avversità e i venti contrari di un sistema che non dà la meritata importanza all’intelletto. Qualunque siano le chiavi di lettura riservate a questo ciclo è ancora la pittura a determinare lo spazio visibile: piccoli e grandi dipinti assemblati insieme e amalgamati in un composto eterogeneo come se fossero puro colore fino a diventare scenari bellici tra soldati di diverse fazioni.
Sarebbe interessante sapere se lottano a favore o contro l’arte o se combattono incuranti del patrimonio che si trova sotto i loro piedi?
In “Black Friday” vi è una denuncia, un forte grido verso la società contemporanea, la società dei consumi, delle speculazioni, una società abituata a guardare, ma non a osservare. È proprio questo il compito dell’Artista: suscitare la riflessione nell’uomo comune in modo che si possa elevare intellettualmente.
Anthony Francesco Bentivegna
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