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Primavera

  • Immagine del redattore: Anthony Francesco Bentivegna
    Anthony Francesco Bentivegna
  • 5 giorni fa
  • Tempo di lettura: 3 min

Siamo intrappolati in una spirale di superficialità e autocelebrazione.        L'apparenza ha sostituito l'essenza.   L'immagine ha preso il posto della verità.

La contemporaneità immaginata e plasmata da Luciano Bonaccorso è lo specchio di una società che eleva la propria esteriorità a valore assoluto, conferendo alla propria crudeltà una raffinata patina aurea indispensabile a convincere e affermare la propria granitica e inattaccabile integrità morale.

Un difetto fisico,  un aspetto sciatto e trasandato o un sadico ghigno vengono rielaborati dallo scultore in forme sofisticate, caratteri divini e pose aggraziate, riesumando in ogni rappresentazione schemi e stilemi classici ornati da elementi iconografici e simbolici, espliciti, ma mai inconfutabili.

Il mondo torna indietro rispecchiandosi negli inquieti drammi metaforici del passato, sforzandosi di riconoscersi, immedesimarsi e trovare l’incastro più adeguato alle proprie egoistiche esigenze, celebrando, con le sue azioni, la propria nera maestosità.

Crono, Prometeo, Icaro…, si tramutano in icone pop, in influencer, che ammiccano all’obiettivo con espressioni procaci e disinvolte, ostentando una vita di plastica, colma di oggetti e brand di lusso, col fine di produrre quello scatto da cinquecentomila views.

Una critica alla società, che Bonaccorso mette in scena con dolcezza, delicatezza e armonia, attraverso un tratto aggraziato mai arreso alle emozioni eccessive, estreme e brutali.

Anche nelle figurazioni più cruente si legge la volontà dell’autore di mantenere un decoro, una compostezza e una mollezza formale che rievoca un monito esitante, dolce e sibillino, volto a scongiurare ogni brusco e tagliente contraddittorio.

Dalle grandi fasce muscolari alle più microscopiche rughe d’espressione si avverte quasi un distacco da un’estetica viziata da coinvolgimenti emotivi e sentimenti, manifestando nella rappresentazione un ferreo rigore oggettivo e formale, frutto di un’osservazione neoclassica e di una formazione accademica.  

Il salto temporale nell’epoca della decadenza morale, tramuta il mito.      La scoperta dell’uomo medio elevato a divinità sociale, condiziona il leggendario. La viralità di un’ epica di tendenza mediocre e banale, rimbecillisce la storia.       E il dio comincia ad avvertire il peso della noia per la sua condizione di onnipotenza.

Un’ambizione alla normalità, che l’autore traspone sulla materia con imparzialità e neutralità reportagistica, rinunciando di mostrare e suddividere nettamente il bianco dal nero, investendo, così, il fruitore di un ardua responsabilità di discernere il bene dal male, di scoprire l’inganno e di leggere un messaggio mai esclusivo.

È dunque in questa sottile linea grigia che lo scultore modella la dualità dell’uomo odierno, una dualità sincretista e camaleontica, composta da forze contrastanti che si annullano a vicenda, appiattendo ogni condizione sociale, spirituale ed etica per divenire modelli calzanti alla portata di tutti: un dubbio a denti stretti, labbra serrate, sopracciglia inarcate e sguardo giudice …

Austeri, severi e solenni, i “mitologici”, nel loro sfuggire a un confronto di sguardi e nel loro svincolarsi da ogni conseguenza terrena, rappresentano il punto cruciale per comprendere questa prima fase espressiva di Luciano Bonaccorso.         Un soggetto trasmutato in oggetto da plasmare in tutta la sua interezza.  Una materia da levigare e ammorbidire con la nuda e schietta realtà.       Un’entità da osservare a dedita distanza con circospezione e attenzione.  Un vaso di Pandora da scoverchiare a tempo opportuno…  …, e non sarà più primavera …

 

Anthony Francesco Bentivegna

Storico dell’arte 

 


 
 
 

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