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Colui che prepara la strada. Un’autobiografia idealizzata di Leonardo da Vinci

Immagine del redattore: Anthony Francesco BentivegnaAnthony Francesco Bentivegna

Aggiornamento: 8 apr 2021


Tutti conosciamo “a grandi linee” la vita e le opere di uno dei pittori più rappresentativi dell’arte italiana ed europea: Leonardo da Vinci. Personaggio poliedrico vissuto nel Rinascimento, inventore, ingegnere militare, trattatista e all’occorrenza pittore, disegnatore, scultore e musicista. Un uomo che aveva un solo Dio: sé stesso.


In questo saggio non ripercorreremo i passi della sua vita, non faremo una lista sistematica delle sue opere realizzate, non spiegheremo cosa si cela dietro le sue singolari tecniche pittoriche, ma tenteremo di scoprire chi è il vero motore di Leonardo: non la pittura, non l’ingegneria, ma la sua insaziabile e avida sete di conoscenza.


Mi fa molto riflettere una frase scritta da Giorgio Vasari (pittore e scrittore d’arte), suo contemporaneo:

«Cominciò molte cose, e nessuna mai ne finì»[1].

Si conosce bene l’animo incontentabile, volubile di un genio che si è occupato non di una sola, ma di diverse e svariate discipline.


E se Leonardo non avesse avuto così a cuore la pittura, se non solo per fini funzionali e rappresentativi?


Nella lettera presentata a Ludovico Sforza (un vero e proprio CV), al punto numero 10, fa riferimento alle proprie doti artistiche solo dopo una serie di punti in cui enfatizza le altre sue abilità: ingegneristiche, belliche, architettoniche…[2].


Nonostante ciò, non si può negare il grande apporto dato alla pittura. Una delle caratteristiche per cui si riconosce un quadro di Leonardo è l’aspetto dei propri personaggi. Studia con attenzione i molti visi di chi lo circonda, mentre sono pochi gli autoritratti realizzati.


Ma Leonardo è criptico, ama giocare col mistero, infatti, possiamo riconoscere la sua presenza anche in alcuni ritratti allegorici[3] di diverse opere in cui riveste ruoli chiave.


L’iconografia fisionomica di Leonardo è ormai fissata nella mente di tutti, e sorge proprio da un suo disegno datato 1515 in cui si immortala da uomo anziano con barba e capelli lunghi e mossi [fig. 1]. Ma Leonardo non è mica nato con l’aspetto di un sessantenne!

1. Leonardo da Vinci, Autoritratto, 1515, sanguigna su carta, Biblioteca Reale, Torino.

Leonardo, contrario ad ogni forma di realtà empirica o sapere tramandato è perfettamente in linea con il grande cambiamento avvenuto dal Medioevo (i secoli bui) al Rinascimento (il secolo d’oro della conoscenza), infatti, dà un grande valore all’esperienza e alla confutazione degli accadimenti scientifici, movente per imparare a conoscere la sua presenza nei suoi quadri.


Cominciamo dall’Adorazione dei Magi, realizzata a Firenze tra il 1481 e il 1482, qualche tempo prima di recarsi a Milano presso la corte di Ludovico Sforza [fig. 2]. L’opera è un chiaro esempio di non-finito.

2. Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi, 1481-82, olio e tempera grassa su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Il medium composto da toni bruni e caldi non è più il tramite tra l’imprimitura e le tinte, ma il protagonista assoluto e materico dell’opera. La scena sacra viene incorniciata dalle contemporaneità dell’artista: architetture, cavalli e cavalieri, che è una caratteristica ricorrente in diverse opere rinascimentali (come il Tondo Doni di Michelangelo) in cui si equiparano le due facce della medaglia quattrocentesca: il sacro e il profano.


Concentriamoci sulla collinetta formata da corpi umani, ovvero, da spettatori che osservano con interesse la visita dei Magi. Le figure principali emergono per le loro tonalità chiare e decisamente per il loro stato avanzato di non finito. In quest’opera Leonardo divide il mondo vecchio dal nuovo separando i secoli bui (contrassegnati da un parapetto di uomini ombreggiati, abbindolati dalle mezze verità della Chiesa) dal suo tempo avido di sapere (contrassegnato dall’assenza di ombre, ovvero, di corpi lucenti)?


C’è Leonardo in questa scena. Dove? Nascosto sulla parte superiore degli astanti, proprio sotto l’albero. Giovane, dai capelli lunghi e con un simbolo particolarmente interessante: il dito indice alzato ad indicare il cielo [fig. 3].

3. Part. Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi, 1481-82, olio e tempera grassa su tavola, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Leonardo in quest’opera si fa vassallo della modernità del suo tempo, quasi come se volesse dire «Ehi! I tempi sono cambiati. Il Medioevo è finito!».


Ma un’altra figura brilla di luce: la Madonna col Bambino. Un’affermazione di fede?

Forse questa prerogativa di Leonardo (figura col dito in su) è stata notata più dai suoi contemporanei che non dai posteri. Raffaello, ad esempio, nella Scuola di Atene [fig. 4] rappresenta Platone dandogli le fattezze fisionomiche di Leonardo da Vinci con tanto di dito alzato verso il cielo, elemento che indica la sede del Dio di Platone, ma anche quella di Leonardo: il mondo iperuranio (sede) e l’Idea (Dio). Alla sinistra di Platone troviamo Aristotele (alias Bastiano da Sangallo), suo allievo (ma contrario ai suoi insegnamenti), con il gesto della mano aperta e il palmo puntato verso il basso, segno dell’attaccamento alle cose fisiche, visibili, sensorialmente percettibili, cioè la mimesi [fig. 5].

4. Raffaello, La Scuola di Atene, 1509-11, affresco, Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane, Roma.
5. Part. Raffaello, La Scuola di Atene, 1509-11, affresco, Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane, Roma.

Tornando a Leonardo, concentriamoci su uno dei dipinti del primo soggiorno milanese: La Vergine delle Rocce (1483-1486), dove l’artista è presente in due soggetti differenti: nel giovane angelo e nel piccolo San Giovannino [fig. 6].


Nell’angelo possiamo riconoscere le fattezze di un Leonardo ventenne che indica “sé stesso” nella figura di San Giovannino, il precursore che spianò, preparò la strada al Signore.


L’artista sa che molti dei suoi progetti sono irrealizzabili, proprio per la limitatezza tecnologica della sua epoca, e riconoscendo questo limite si proietta nel futuro, immedesimandosi in S Giovanni.

6. Leonardo da Vinci, Vergine delle Rocce, 1483-86, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

Il precursore Leonardo è "colui che spiana” - “colui che getta le basi” - “colui che prepara” la strada al suo Dio: la conoscenza.

Molti progetti di Leonardo vedranno la luce solo nell’Ottocento.


Elemento interessante della composizione è la Madonna dal manto scuro. La mano è proiettata in avanti (quasi a sfondare la parete invisibile tra la scena e lo spettatore) con il palmo rivolto verso il basso, proprio come viene rappresentato Aristotele (dipendente dalla realtà delle cose). Che Maria in questa scena, come il paesaggio oscuro, tenebroso, nordico, voglia rappresentare l’Italia troppo influenzata dalla Chiesa per avere un’ulteriore spinta verso il progresso scientifico e tecnologico?


Sempre di questo periodo milanese è L’Ultima Cena (1495-1498), commissionata da Ludovico il Moro per il refettorio di Santa Maria delle Grazie [fig. 7].

7. Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-98, tempera e olio su intonaco, Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

La storia del dipinto non è mai stata rose e fiori. A distanza di mesi dalla conclusione l’opera presenta già diverse lacune, colpa dell’impasto “sperimentale” realizzato da Leonardo per evitare la più idonea tecnica dell’affresco (per nulla confacente al suo modus operandi). Interrompe continuamente di dipingere, e dopo molti ripensamenti ritorna sul dipinto anche dopo vari mesi, cambiando l’intero progetto.


Successivamente l’opera viene mutilata dai frati che aprono un passaggio, proprio nella parete in cui è presente il dipinto, per comunicare il refettorio con la cucina. La stanza del Cenacolo è poi trasformata in stalla dalle truppe francesi nel sec. XIX.


Nell’Agosto del 1943, durante la Seconda Guerra Mondiale, il convento viene bombardato ma l’opera rimane miracolosamente salva, per non parlare, infine, delle varie ridipinture subite nel corso dei secoli.


Dove si trova qui il ritratto allegorico del super-uomo Leonardo? Alla sinistra di Cristo emerge un volto barbuto (molto più simile per fisionomia a Michelangelo che a Leonardo) con il dito rivolto, ancora una volta, verso il cielo.

8. Part. Leonardo da Vinci, Ultima Cena, 1495-98, tempera e olio su intonaco, Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

È Tommaso la figura in cui (in questo dipinto) si reincarna Leonardo. Se ci pensiamo bene, possiamo trovare tra di loro un’analogia [fig. 8]: Tommaso Didimo, nonostante sia un fedele discepolo di Gesù, quando lo rivede (successivamente alla sua risurrezione), gli espone una specifica richiesta: voler vedere con i propri occhi le prove tangibili del suo martirio. Tommaso, mosso dalla sua incredulità, applica un metodo di confutazione dato dall’esperienza visiva e tattile per accertarsi della veridicità del miracoloso avvenimento.


Anche Leonardo è di natura scettica e diffidente, non è un caso che sceglie di reincarnarsi in questa figura. Il dito teso verso il cielo potrebbe essere un’allusione al regno di Dio, ma oltre questo, anche un segnale direzionale verso il mondo iperuranio e intangibile delle idee.


Ma Leonardo non è ateo? A mio parere non del tutto. Riconosce il valore salvifico della cristianità, ma non accetta il celare di verità scottanti dietro il pesante mantello del Vaticano.


Quando nel 1499 il granducato di Milano viene invaso dalle truppe francesi, Leonardo è costretto a lasciare la città che gli diede più respiro inventivo. Nel 1501, dopo avere soggiornato a Mantova e Venezia, torna a Firenze dove realizza la Madonna dei fusi [fig. 9] di cui ne fa una copia (forse a distanza di qualche anno) [fig. 10].

9. Leonardo da Vinci, Madonna dei fusi, (1501), olio su tela, Collezione privata, Edimburgo.
10. Leonardo da Vinci, Madonna dei fusi, 1501, olio su tavolo e trasferito su tela, Collezione privata, New York.

Le opere hanno figurazioni analoghe: la presenza del classico paesaggio leonardesco freddo, misterioso, lugubre, e una caratteristica che diventa un vero e proprio elemento stilistico di Leonardo lo “sfumato”[4].


La differenza tra le due tele è davvero marginale: in quella di New York (più finita) il piccolo Gesù accenna un sorriso, mentre la giovane Maria ha una fisionomia molto più femminile rispetto all’opera di Edimburgo.


Sono le piccole diversità dei due dipinti la chiave per comprendere il messaggio nascosto dell’autore: Maria, in classica posa facciale delle madonne leonardesche (la mano in posa aristotelica) guarda il proprio figlio mentre gioca con dei fuscelli, e incuriosito dalla pianta (pare voglia comprenderne il suo meccanismo, la sua anatomia), punta il dito verso l’idea, la ragione, il voler superare l’uomo comune fermo all’aspetto esteriore delle cose. Gli occhi del bambin Gesù sono come quelli di uno studioso che si interroga sul funzionamento delle cose per comprenderne le sue caratteristiche, e il piacere della scoperta si manifesta in un sorriso sul viso che troviamo nella copia nell’opera conservata a New York.


Tra il 1500 e il 1505 Leonardo realizza un bozzetto raffigurante la Madonna, Sant'Anna, San Giovannino e il Bambino [fig. 11], progetto che lo porta alla realizzazione della pala d’altare Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino tra il 1510 e il 1513 a Milano [fig. 12].

11. Leonardo da Vinci, Madonna, Sant’Anna, San Giovannino e il Bambino, 1500-05, gessetto nero, biacca e sfumino su carta, National Gallery, Londra.
12. Leonardo da Vinci, Sant'Anna, la Vergine e il Bambino con l'agnellino, 1510-13, olio su tavolo, Museo del Louvre, Parigi.

È risaputo come Leonardo cambia idea dal giorno alla notte, e di conseguenza non è raro, come in questo caso, trovare dei progetti con qualche variazione nell’opera finale. Qui troviamo un altro espediente compositivo di Leonardo, il “Contrapposto”[5].


L’opera è un dipinto su commissione. È stata la committenza che ha chiesto all’artista di variare il progetto? È nel bozzetto che Leonardo ci vuole dire qualcosa in più: Maria non è più flessa verso terra per permettere al piccolo Gesù di giocare, ma seduta comodamente sulle gambe di Sant’Anna con Gesù tra le braccia.


Quest’ultimo nel disegno ci consente di mettere a fuoco il braccio della nonna, che indica, ancora una volta, il cielo, l’alto concetto.


Andando ancora più a fondo e analizzando lo Studio di un bambino datato 1508, possiamo notare che nella prima rappresentazione il putto indica la sua destra [fig. 13].

13. Leonardo da Vinci, Studio di un bambino, 1508, Galleria degli Uffizi, Firenze.

Sostituendo Gesù con esso, servendoci di un programma di grafica digitale, otteniamo il Gesù che indica San Giovannino [fig. 14].

14. Sostituzione di Gesù con il bambino in piena figura (a sinistra) dello studio del 1508 attraverso il programma “Adobe Photoshop CS5”.

Ancora una volta, Leonardo come Giovanni Battista si auto-definisce un vassallo, non della cristianità, ma dell’umanesimo.


Nel 1516 Leonardo abbandona definitivamente Firenze per dirigersi prima a Roma e poi ad Amboise (Francia) dove, invitato da Re Francesco I, passa gli ultimi anni della sua vita. Tra le opere che porta con sé troviamo due rappresentazioni di San Giovanni Battista.


Il più tardo delle due opere (1510 – 1515) [fig. 15] vede il protagonista nel deserto, in piena figura, seduto su un’escrescenza del terreno che fa cornice ad un paesaggio in cui si scorge un altro elemento stilistico di Leonardo: la “prospettiva aerea”[6].

15. Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1510-15, olio su tela, Museo del Louvre, Parigi.

Del dipinto emergono elementi come il bel modellato della figura del santo, a riprova dell’immensa conoscenza luministica e anatomica del pittore; lo sguardo magnetico e la direzionalità delle dita: col dito della mano destra indica il bastone, simbolo di comando, simbolo pastorale, simbolo del maestro, lo stato finale di un percorso.


Ancora una volta Leonardo vuole celebrare il suo “essere” all’interno del mondo criptico di oli e di vernici? Si autodefinisce maestro del suo tempo, massima espressione dell’Umanesimo.


Col dito della mano sinistra, invece, indica la terra, simbolo della mortalità (diversa dall’essere divino). Con questo dipinto, forse, Leonardo arriva a una convinzione: aver superato i limiti del suo tempo, sia nella pittura che nella tecnologia, con la consapevolezza che chi sarebbe venuto dopo non avrebbe avuto grandi difficoltà nel superarlo.


Ci troviamo davanti, sia a un atto di vanità che di umiltà allo stesso tempo. Leonardo, narcisisticamente, si sente inappropriato al tempo storico in cui vive, comprende che molti suoi coevi non comprendono le sue idee.


È come se parlasse per i posteri, un po' con la consapevolezza, un po' con la speranza che nel futuro tanti dei suoi progetti avranno la luce: ecco perché lo definisco un precursore dell’uomo dei secoli a venire, come San Giovanni Battista è stato per Cristo.


Forse nell’opera si nascondono altri significati nascosti, celati da strati di pittura: dopotutto stiamo parlando di Leonardo da Vinci!


“Quando il saggio indica la luna, lo stolto guarda il dito”[7].


Nel San Giovanni Battista (1508 - 1513) rappresentato in primo piano (la critica ufficiale riconosce nel santo il ritratto dell’allievo Gian Giacomo Caprotti, meglio conosciuto come Salaì) [fig. 16], ancora una volta emerge la presenza di Leonardo in un’atmosfera precaravaggesca vestito con pelli d’animale, che sfiora, senza toccare, la sottile croce.

16. Leonardo da Vinci, San Giovanni Battista, 1508-13, olio su tavola di noce, Museo del Louvre, Parigi.

Anche qui Leonardo cela desideri e volontà nascoste nella mano che punta al firmamento per i motivi precedentemente esposti (uno cristologico e l’altro personalmente ideologico). Ma emerge anche un altro elemento: la mano sinistra sul petto sembra quasi voler anticipare le parole: «Ecco, sono io».


Siamo forse davanti al più alto momento celebrativo di un uomo che, nonostante la sua incontentabilità, nonostante la consapevolezza dei suoi errori, forse, è vicino a trovare la pace e la serenità. È come se stesse esclamando: «Non guardare il dito, bensì il cielo, anzi, guarda me!». Un’autoproclamazione, una piccola rivincita dopo una vita di continuo inseguimento verso quell’idea tanto labile, quanto astratta, tanto impercettibile, quanto nebulosa. E cosa resta dopo anni di sperimentazioni, fallimenti, se non un documento della propria esistenza, del proprio fare, del proprio “essere”?

Anthony Francesco Bentivegna


NOTE

[1] G. Vasari, Le vite dei più eccellenti pittori, scultori e architetti. Volume Terzo, Salani Editore, Firenze 1963, p. 390.

[2] G. Fumagalli, Leonardo Prosatore. Scelta di scritti vinciani, Albrighi Serati & C., Roma 1915, p.258.

[3] Ritratto allegorico: Rappresentazione idealizzata, referenziale e celebrativa in cui l’artista immortala il soggetto nei panni di un personaggio storico, mitologico o religioso. Nella maggior parte dei casi è il committente che richiede all’artista di essere ritratto nelle vesti di un dio, di un eroe o di un santo, motivando la scelta da una presunta somiglianza ideologica.

[4] Sfumato: Tale tecnica prevede la confusione impercettibile del contorno di due solidi o piani che genera una sfocatura e un passaggio, talmente graduale da rendere difficoltoso comprendere dove inizia e finisce il perimetro di una figura.

[5] Contrapposto: Bilanciamento delle masse corporee che hanno subìto una torsione, cioè, una rotazione secondo due sensi opposti attorno a un asse.

[6] Prospettiva aerea: Simulazione della percezione del colore a lunga distanza. Secondo Leonardo, il colore percepito varia in base alla quantità di aria che si interpone tra il soggetto osservato e l’occhio umano: più una figura è lontana e più lo spettro percepito va sull’azzurro ed altre tonalità fredde.

[7] Detto di origine cinese, che denota l’ottusità di molti uomini nel voler comprendere solo ciò che possono toccare, in maniera superficiale, anche quando indirizzati da saggi adepti.

BIBLIOGRAFIA

G. Fumagalli, Leonardo Prosatore. Scelta di scritti vinciani, Albrighi Serati & C., Roman 1915

L. Venturi, Leonardo da Vinci e la sua scuola, De Agostini Novara 1941.

G. Vasari, Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori. Volume Terzo, Salani Editore, Firenze 1963.

G. C. Argan, Storia dell'arte italiana, Sansoni, Firenze 1968.

C. Pedretti, Leonardo & io, Mondadori, Milano 2008.


 
 
 

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