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Immagine del redattoreAnthony Francesco Bentivegna

Episodio 7 La forma. Dalla forma scatola alla forma universo. Intervista a Fisco, Gulino e ACA

Aggiornamento: 10 mag 2020

Una gabbia, un contenitore, uno strumento, un’area di azione delimitata o una proiezione mentale?


In questo episodio di Ars Mundi. Origine Tradizione Evoluzione si conclude il percorso, iniziato circa un anno e mezzo fa, in cui ho approfondito lo studio sulla differenza e sulla sinergia tra forma e colore insite nella produzione di Leonardo Fisco, Franco Accursio Gulino e ACA.


E dopo aver indagato sulle possibilità espressive del colore, tocca fare il terzo grado anche alla forma!


[…] Vedo nel colore un importante strumento di comunicazione per l’artista, ma, paradossalmente, non necessario […][1].


Con questa frase, nel precedente episodio, avevo lievemente screditato l’utilizzo del colore, lasciando intendere che un colore valesse l’altro.

Tale espressione, però, si scontrava automaticamente con l’accezione che Fisco (essendo un colorista compulsivo) ha del colore.


Questa frase ha smascherato immediatamente la mia predilezione verso la forma. Una concezione di forma emersa in maniera timida e scettica durante le interviste ai singoli artisti.


Nel “tempo della mimesis” la forma è stata principalmente struttura, scheletro del colore e della pittura stessa.

Nel “tempo delle Avanguardie” si è confrontata con lo sfondo (da considerare sia forma, sia colore) e con il colore che la stessa forma conteneva.

Infine, nel “tempo della smaterializzazione informale” si è confusa, sia con lo sfondo, sia con il colore, sia anche con il segno.


Da sempre, la forma servendosi dell’assist del disegno ha avvalorato questa preminenza rispetto al colore. Allo stesso tempo, il colore diventa necessario sia per distinguere le masse, sia anche per evidenziare la stessa spazio-temporalità della forma. E questa è una motivazione per cui ACA utilizza il colore in questo modo, quasi come creare delle strade dotate di segnaletica.


Isoliamo la forma.

Decontaminiamola da ogni particella di colore.

E per colore intendiamo sia i tratteggi che i chiaroscuri.

Purifichiamola anche da ogni tridimensionalità.

Cosa rimane, se non celle? Linee verticali, orizzontali e sinusoidali che si intersecano tra di loro su una struttura bidimensionale (carte, tela, ecc..).

Ecco che la sicurezza della forma vacilla. Vacilla, perché è dipendente dal colore, non tanto per i suoi valori coloristici, quanto per la spazialità che il colore riesce a donargli.


Isoliamo la forma.

Decontaminiamola da colori, tratteggi e chiaroscuri.

Concediamole, questa volta, il valore della profondità.

Non è forse indipendente?

E tale indipendenza può essere acquisita solo attraverso una strada che non è la scultura, ma il digitale.


Attraverso il programma di disegno tecnico AutoCAD l’artefice può entrare e uscire dalle varie scatole formali, appiattire la forma vedendola frontalmente, ruotarla da ogni direzione possibile e immaginaria, distorcerla attraverso giochi prospettici, per consentire all'utente di avere una visione nero su bianco della forma squadrata o rotonda che sia.


Attraverso le interviste ai singoli artisti ho individuato anche tre approcci nettamente differenti riguardanti la forma e la sua EMANCIPAZIONE: caldo> tiepido> freddo.


Quello di Leonardo Fisco è un approccio caldo, scaturito da una connessione/dipendenza dal colore: la sua forma è netta, segnica, a volte spigolosa, altre volte ondeggiante, ma pur sempre utilizzata come recinto che contiene le mandrie cromatiche libere di muoversi nel perimetro, attraverso strade superiori e inferiori che si incrociano. Ciò comporta, sia un limite dimensionale, che un limite oggettuale: tanto è il limite massimo della “forma madre” (tela), quanto è il limite massimo dei contenitori (soggetti) presenti nella grande scatola. La forma di Fisco è paragonabile ad una macchia d’olio che si propaga su un tessuto fino a definire i suoi limiti in maniera netta e inequivocabile.


L’approccio adottato da Franco Accursio Gulino è differente (tiepido). Egli si basa sul principio “In medio stat virtus”[2], in cui i valori tra forma e colore hanno un rapporto 50 e 50, per cui non esiste uno strumento linguistico superiore o inferiore ad un altro. La forma per Gulino è una resina né liquida né secca: una materia indefinita, plastica, duttile ed elastica, che è anche colore. Non vi è una particolare predilezione dell’una rispetto all’altra. Non si tratta di ricercare una soluzione formale, ma di scegliere la maniera più idonea e puntuale di riportare sul supporto il prodotto della sua mente.


Nella precedente intervista ad ACA (sul colore) emergeva la sua volontà artistica di trattare il colore con un peso differente (inferiore) rispetto alla forma. La sua concezione fredda non è motivata da un distacco con il linguaggio espressivo della pittura, bensì da una necessaria ricerca di leggibilità attraverso la forma dei vari vettori spazio-temporali. Anche se la ricerca sequenzialista degli ultimi due anni verte sul colore, quest’ultimo rimane sempre un accessorio, a mio parere, fondamentale per una più completa e farcita lettura espressiva all’interno del percorso spazio-temporale.

La forma nel sequenzialismo è un contenitore che contiene, tra i vari input, anche il colore. Come un liquido prende la forma del suo (indispensabile) recipiente; e a sua volta diventa raccoglitore di informazione: pensiamo alla formula chimica dell’acqua composta da due molecole di idrogeno e una di ossigeno.

Un liquido che può anche uscire fuori dal suo contenitore orbitando attorno alla forma strutturale: il percorso spazio-temporale.


Questa setacciatura da macro a micro strizza l’occhio ad un altro problema inerente alla forma e al suo limite: la dimensione.


Se nel precedente articolo si è trovato, nel digitale, una risposta alle problematiche del colore, anche la forma può trovare la stessa soluzione. Valutando anche il discorso in chiave filosofica non troviamo un limite dimensionale alla forma.

E dal punto di vista fisico?

I limiti sono due: quello subatomico e quello del supporto. L’autore compie con la propria percezione uno screening alla dimensione del supporto. I limiti dimensionali di quest’ultimo influenzeranno l’intera costruzione della forma e del colore.


Anche qui si trova un diverso approccio tra gli artisti intervistati: “+, 0, -”. Gli stessi valori si individuano anche nel loro approccio alla scultura.


+: In Leonardo Fisco si denota un certo horror vacui per cui le forme adottate risultano ipertrofiche in relazione allo sfondo (forma madre), come un ritratto fotografico in primo piano.


0: Nelle opere di Franco Accursio Gulino si avverte una gestione armonica degli spazi in cui figura (forma) e sfondo si equilibrano tra di loro: un po’ come un paesaggio in cui si scorgono i vari elementi (personaggi e solidi).


-: Nel caso di ACA, i vettori spazio-temporali sembrano fluttuare o navigare nello sfondo, e ciò è dato dal carattere prevalentemente segnico della linguistica sequenzialista. In questo caso abbiamo una foto vista dall’alto in cui emergono aree come i prati verdi, gli specchi d’acqua blu, i tetti delle case e gli uomini visti come dei puntini[3].


Quali sono i limiti potenziali e critici della forma?

Come il colore anche la forma non esisterebbe nella bidimensione senza la luce. Nel caso della tridimensione, o per meglio dire del volume, potrebbe esistere nell’oscurità e percepibile soltanto dal senso del tatto..


A questo punto occorre fare un cenno all’arte tridimensionale per eccellenza: la scultura/installazione. Prendiamo in esame le opere scultoree: Pietà di Leonardo Fisco; gli Spettatori di Ferdinandea di Franco Accursio Gulino; Elaborazione Spazio-Temporale: Il Viaggio della Speranza Infranto di ACA.


Nella Pietà [fig. 1] di Fisco avviene una traduzione plastica, sia nella pennellata carica di colore che nella scelta di adottare forme spigolose, angolose e appuntite: ottimo medium per i non vedenti, che percepirebbero la drammaticità, la durezza e la brutalità nel toccarla.

L’impedimento e l’attrito genererebbe lo stesso cortocircuito che il fruitore vedente otterrebbe dal semplice movimento degli occhi, passando dai colori freddi ai colori caldi.

La scelta cromatica adottata in questa piccola scultura è differente dalle opere pittoriche, perché le informazioni che dovrebbero essere veicolate dal colore sono veicolate dalla densità materica.

[fig 1] Leonardo Fisco, Pietà, 1990, smalti su terracotta, cm. 28

Nel ciclo scultoreo degli Spettatori di Ferdinandea [fig. 2] non troviamo spigolosità, ma morbidezze in forme smussate. Interessante il rapporto figura-sfondo ben contemplato da Gulino, dove ancora una volta vengono presi in esame degli archetipi, delle forme e contestualizzate in uno scenario[4]. Il rapporto visivo è fondamentale e conferma la sua filosofia dell’equilibrio inserendo il colore in maniera velata, non pregnante, nella forma plastica. Una forma che risulterebbe algida e incompleta senza colore: un attore di cui un’opera teatrale non potrebbe farne almeno. Scolpisce come dipinge: crea il contesto e tiene conto di variabili luministiche e spaziali.

[fig. 2] Franco Accursio Gulino, Spettatori di Ferdinandea, 1995, olio su gesso, cm.70

Nel caso di ACA, risulta più complesso parlare di scultura in quanto alcuni suoi progetti non sono ancora realizzati. Elaborazione Spazio-Temporale: Il Viaggio della Speranza Infranto [fig. 3], più che una scultura è un’installazione in cui si applica un approccio spazio-temporale su piani tridimensionali.

Il fattore della matericità diventa indispensabile: la diversa densità di materiali e vernici acquista un’espressività spazio-temporale durante la fruizione/elaborazione dell’opera. Essere frazionata in più piani (asse x = pavimento; asse y = parete) consente un salto, un teletrasporto, un collegamento ipertestuale nello spazio, nel tempo o in una dimensione alternativa [fig.4]. Un passaggio da elaborazione bidimensionale a elaborazione tridimensionale (muoversi multi-direzionalmente all’interno di una sfera anziché di un quadrato).

[fig 3] ACA, Elaborazione Spazio-Temporale: Il Viaggio della Speranza Infranto, 2015, smalto su terracotta, cm 32,5x32,5 (15 pezzi)
[fig 4] ACA, Elaborazione Spazio-Temporale: Il Viaggio della Speranza Infranto, 2015, smalto su terracotta, cm 32,5x32,5 (15 pezzi), applicazione tra parete (asse x) e pavimento (asse y)

Intervista a Leonardo Fisco

11 Giugno

Sciacca 2019


L.F.: “La forma è tutto ciò che contiene il colore: è il perimetro, il limite massimo di una figura. La percepisco particolarmente nel segno.


Nel mio linguaggio essa scaturisce dall’esperienza, dal tipo di approccio che ho avuto e maturato nell’arco degli anni. Si è sviluppata per inerzia, un po' come complemento al colore, infatti, sono stato da sempre un colorista.


Rispetto ai miei lavori più recenti, la forma che sviluppavo negli anni Sessanta era più avanti del colore, perché in quel periodo usavo colori meno sgargianti.


Il passaggio dal formale all’informale di Jackson Pollock e William de Kooning mi ha fatto molto riflettere. Anch’io, con il passaggio all’astratto sono riuscito ad uscire dagli schemi formali rigidi.


Negli Anni Ottanta, visitando la Biennale di Venezia, mi sono accorto come l’astratto si involgariva sempre di più e ciò mi ha spinto a tornare al figurativo con un’acquisita libertà espressiva.


Ricordo vivamente il giorno in cui ho presentato alla commissione (di valutazione per poter insegnare alla scuola d’arte) la carpetta contenente i miei lavori: disegni realizzati ad inchiostro (con cannucce, penne o pennelli) di figure intere maschili e femminili e i ritratti realizzati attraverso un unico segno continuo che perimetrava tutta la figura [fig. 5]. Un membro della commissione valutando i miei lavori disse: «Qui, al posto di andare avanti, andiamo indietro!». Non mi importava riprodurre un’obsoleta forma classica, ma raggiungere sicurezza e speditezza segnica.


Noto che utilizzo molto nero nella mia pittura soprattutto nel contorno, cosa che ho sviluppato grazie a degli studi sulle vetrate di George Roult, dove il nero del piombo creava una struttura al colore.


Nel disegno come nel modellato la forma è più pregnante (rispetto alla pittura): nel primo per un’assenza tecnica del colore; nel secondo per una volontà istintiva di “formare” attraverso le masse scultoree.


Altro punto di riferimento è stata la pittura vascolare greca, per l’irripetibilità del segno.

Ma colui che ritengo un maestro e che riesce ad emozionarmi tutt'oggi è Picasso! Grazie a lui ho trovato uno snodo alla soluzione della forma. Seguendo i suoi passi, ho trovato nella scultura negra e nelle maschere tribali e rituali grande fonte d’ispirazione, in particolar modo nella riduzione, in forme geometriche elementari, delle parti del viso (grossi occhi a mandorla, labbra carnose e naso spesso sostituito da triangoli)".

[fig. 5] Leonardo Fisco, Nudo, 1959, grafite su carta, cm. 20x30

La scelta del colore nella pittura di Leonardo Fisco (precedente intervista) è motivata dal territorio (spazio). La costruzione della forma è, invece, fondata sull’esperienza (tempo).


L’autore parte sempre da una bozza, da un disegno, ovvero, da una struttura.

Si documentano due differenze costruttive che compromettono e influenzano la genesi e il divenire dell’opera: una maniera composta e una scomposta.

[fig. 6] Leonardo Fisco, Odissea. Il cavallo di Troia, 2010, olio su tela, cm 150x120

La compostezza in Fisco è motivata da una volontà diegetica[1] (più, o meno forte): quando sceglie di raccontare attraverso immagini (Odissea. Il cavallo di Troia) [fig. 6] la forma è ben definita e riconoscibile per far fronte ad una narrazione più scorrevole, più fluida, più comprensibile. Qui la forma tiene a bada il colore.


Quando, invece, sposta la sua attenzione sull’oggetto spoglio da ogni tipo di contesto narrativo il risultato muta radicalmente (Ruderi di Akragas) [fig. 7]. Anche qui la forma è presente, ma difficilmente tiene a bada le masse cromatiche, anzi, in questo caso diventa anch’essa colore.

[fig. 7] Leonardo Fisco, Ruderi di Akragas, 2002, olio su tela, cm 60x50

Tale dicotomia si associa, ancora una volta, a quella esaminata nell’articolo sul colore, dove emerge un’esecuzione diversa dalla media alla grande dimensione (anche questa volta i quadri presi in esame sono di due formati diversi). Anche in questo caso si assiste a un diverso approccio formale influenzato dalla dimensione.


Intervista a Franco Accursio Gulino

26 Settembre – 9 e 13 Ottobre

Sciacca 2019

F.A.G.: Il motore dell’arte è l’idea, che deve essere supportata dalla concretezza, dal fatto di saper riprodurre le immagini insite nella mente[6].

È questa la forma.


Nei primi anni della mia carriera decisi di affrontare di petto la pittura classica attraverso lo studio dei grandi maestri del passato, grandi disegnatori come Filippo Lippi, Raffaello, Michelangelo, Leonardo. La mia ricerca cominciò proprio da lì, dal disegno.

Attraverso centinaia di studi sono riuscito ad entrare dentro la mente di questi artisti, acquisendone i loro valori formali e cromatici.


Lo studio sui classici, infatti, ti mette in mano questi strumenti, queste capacità, ovvero, una grande conoscenza della forma.

Ma ciò non basta…


Se non hai uno stimolo creativo le forme che produci rimangono segregate in quel contenitore che noi chiamiamo ‘classici’. E il compito dell’artista sta proprio nel creare forme nuove.

Dipingere in maniera classica, però, non è necessariamente rispecchiare la realtà, ma, ancora meglio, si può anche applicare quella conoscenza in relazione al proprio tempo contemporaneo.

Partire dal reale per arrivare, perfino, all’effimero.

La natura è colma di forme complesse.

Quando frequentavo la scuola d’arte, un mio insegnante, il professore Friscia, mi chiese di raccogliere delle foglie in piazza. Solo dopo averle raccolte mi disse che avrei dovuto anche copiarle. Ricordo ancora quando fu complesso riportarle sul foglio e poi sul pianetto di argilla (Plastica).


La ricerca della forma non ha mai fine, volta per volta si vedono cose nuove che ti colpiscono.


Durante la mia mostra a Nairobi[7] ho visto diverse ‘forme’ che sono rimaste impresse nella mia memoria: uomini, donne e bambini in estrema povertà e a stretto contatto con animali selvatici si nutrivano di carne annerita dal tempo, attorniata da mosche, appesa ai ganci nei mercati.


Esiste, quindi, una specie bagaglio, un qualcosa che ti porti dietro, e giorno dopo giorno si amplifica.

Diversi anni fa lavoravo ad una serie chiamata ‘Disegno Intelligente’, ovvero, la bontà della progettazione: il disegno che disegna sé stesso, forma che forma sé stessa, ma sta anche a significare forma immaginativa. Il disegno intelligente è un disegno mentale, e quindi, una forma mentale, infatti, in una parte del ciclo ‘Black Friday’ avviene proprio questo.


Non mi occorre più partire da una forma, perché ormai riesco a dominarla; mi cimento, invece, con le forme pre-esistenti nei supporti che utilizzo trasformandole. In questo modo il mio lavoro entra in quello stampato (digitale) e lo stampato entra nel mio lavoro (analogico).

Non puoi scindere la forma dal colore, come non puoi preferire il colore alla forma. La trovo inconcepibile! Nel momento in cui c’è questa separazione tra forma e colore, tra figurativo ed astratto, tra formale ed informale diventi limitato.

È una condizione che chiunque fa arte dovrebbe superare: è un limite!

Forma e colore camminano di pari passo e hanno lo stesso peso e lo stesso valore.

Malgrado ciò la forma, è sia idea che contenitore dell’idea; un contenitore che può contenere il colore (visibilità dimensionale), elemento che ben trasmetta la sensibilità.


La forma è colore. E il colore, a sua volta, è la forma”.


[Fig. 8] Franco Accursio Gulino, Clandestinus Nudo, 2004, olio su porta, 90x220 cm

È interessante come la forma in Gulino abbia trovato una sintesi nel tempo: dalla strutturazione del periodo classico, alla distruzione della struttura nella “Transfigurazione”, fino all’adattamento/distorcimento delle forme base del ciclo “Black Friday”. Si fa, naturalmente, riferimento ad opere in cui si avverte maggiormente il predominio della forma come figura[8].


Nello sviluppo formale in tre lassi temporali Gulino tiene un rapporto con la realtà sempre diverso.


Nel periodo classico le infrastrutture dei grandi maestri della mimesi fanno da base al suo senso di composizione formale (e cromatico): si nota, infatti, come in questo periodo il colore segue di pari passo la linea che compone la forma con precisione e nettezza magistrale, peculiarità che è possibile trovare anche in lavori dei primi del Duemila (quelli relativi alla Transfigurazione).


Nelle due fasi successive, invece, la forma mentale si manifesta nella creazione di chimere zoomorfe, antropomorfe e pragmamorfe, che posseggono solo la struttura di una forma classicheggiante gradualmente distrutta e riplasmata dalla sensibilità e dalla creatività di Franco Accursio Gulino [fig.8].


In cicli come “Black Friday” o “Corde tese e passi” avviene una fase di trasformazione successiva, grazie al lavoro coadiuvato di forma mentale con l’immagine-sfondo[9]. L’immagine-sfondo diventa un ulteriore agente creativo che asseconda (collaboratore) o contrasta (competitore) la forma mentale. Alterazioni, trasformazioni, evidenziamenti [fig.9] o occultamenti [fig.10] dell’immagine-sfondo sono dovuti alla volontà dell’artista che impone la sua forma mentale.

[Fig. 9] Franco Accursio Gulino, Pasolini, 2006, tecnica mista su carta, 60x50 cm.

Nel lessico guliniano la forma e tutte le sue parti diventano coagulante di archetipi mentali e archetipi simbolici uniti tra di loro, proprio come il fusto di un albero seguito dai rami, che diventano un’estensione del corpo, frutto di adattamento o di necessità. Non è raro trovare soggetti che presentano un apparato iconografico insito nella loro struttura anatomica e fisiognomica: elementi come barche e aeroplani sono una mutazione evolutiva, sintomo della volontà di librarsi in volo per uscire fuori da una condizione di comune normalità o da schemi formali rigidi e prevedibili [fig.9].


Quello di Franco Accursio Gulino è un rapporto ambivalente tra forma e colore difficilmente catalogabile.

[Fig. 10] Franco Accursio Gulino, Corde tese e passi, 2019, tecnica mista su cartone, 120x60 cm.

Generalmente nel ciclo “Ferdinandea” il colore è superiore alla forma, mentre, nei “Clandestinus” è la forma a troneggiare. Ma non è raro che queste proiezioni si fondono tra di loro come attori (forma) intercalati nel palcoscenico (colore) di Ferdinandea, isola ideale di colore che genera forme.



Intervista ad ACA

16 Giugno

Sciacca 2019


ACA: “Il Sequenzialismo nell’Arte nasce su base formale. È un codice linguistico di segni-vettori indipendenti dal colore che, nonostante sia un elemento secondario può contaminare l’aspetto formale e lineare.

Nell’ordine, il segno sequenzialista si elabora:

1) creazione della struttura (forma)

2) Implementazione della struttura lineare attraverso colore e matericità.

Adotto lo stesso principio del codice digitale, dove su una struttura “neutra” (il codice binario) si innestano le sovrastrutture visive (forma e colore).

Per molto tempo ho lavorato con sequenze di colori elementari, o addirittura senza i colori – in bianco e nero –, proprio perché mi interessava approfondire le possibilità spazio-temporali del segno-codice.


Ogni singolo vettore spazio-temporale (segno-freccia, segno-numero, segno-unità), è da considerarsi alla stregua di un bit che si muove nello spazio e nel tempo all’interno di un percorso sequenziale direzionato. Questi segni-bit elaborano percorsi più complessi e pluridirezionati (byte). La lettura percettiva, attraverso il contare direzionato dei segni, permette al fruitore di accedere al processo di realizzazione sequenziale dell’artista.

La ricerca segnica è partita da una singola linea, che dovete immaginare costituita da fil di ferro in grado di assumere le forme più svariate: di freccia o di numero.

Nei primi lavori utilizzavo materiali autoadesivi (plastiche colorate e trasparenti), che richiamavano sia la sovrapposizione dei percorsi nella loro leggibilità sequenziale, sia il contesto tecnologico (involucro del computer, monitor). Ma dopo pochi anni ho abbandonato questa tecnica a causa dei suoi limiti linguistici ed estetici. Ho quindi iniziato ad approfondire le tecniche tradizionali, che mi consentono una maggiore flessibilità tecnica e un più strutturato approccio sequenziale su molteplici livelli di lettura.

Di conseguenza, il segno sequenziale, ad oggi, è decisamente più sviluppato del colore sequenziale.

Perciò, negli ultimi due anni sto cercando di equilibrare le due componenti ampliandone l’orizzonte di espressività: dalla massima alla minima leggibilità, in modo da ottenere possibilità linguistiche più ampie rispetto al precedente segno realizzato con materiali autoadesivi.


Le infinite varianti del segno (formali, cromatiche, materiche, etc.) che formano il segno-freccia, il segno-numero e il segno-unità, rispondono ad un’esigenza di comunicazione spazio-temporale. Queste varianti segniche strutturano il percorso sequenziale e guidano il fruitore nella dimensione espressiva dell’opera sequenzialista.

Il segno-unità (che era usato già dall’homo sapiens), ad esempio, è quello più debole dal punto di vista della leggibilità, perché si presta molto ad interpretazioni astratte. Il segno-numero e il segno-freccia, invece, propendono maggiormente verso una comprensibilità univoca spazio-temporale.

In alcune elaborazioni spazio-temporali, si trovano dei segni ibridi in cui i tre vettori si fondono tra di loro, e ciò porta a un ampliamento delle possibili letture, in quanto non ci costringono ad un ordine di decodifica unidimensionale ma ci consentono un ventaglio di esperienze pluridimensionali.


Non scindo la forma dal colore, perché per me sono degli elementi compresenti ed essenziali in ogni elaborazione, anche se il colore in alcuni casi può staccarsi dalla forma “orbitando” intorno ad essa.


Senza dubbio l’approccio metodologico (artistico-filosofico) adottato da Kandinsky ha ispirato la mia ricerca linguistica, e mi ha guidato nello sviluppo del segno spazio-temporale.

La sostanziale differenza è che Kandinsky ha sviluppato prima il discorso sul colore, integrandolo successivamente, nel periodo russo e al Bauhaus, con quello formale. Io, al contrario, mi sono concentrato inizialmente sull’aspetto formale del segno e ultimamente sulla messa a punto adeguata del colore sequenziale.

In un’ipotetica scultura sequenzialista, a differenza del quadro, entrerebbe in gioco la terza dimensione. La profondità quindi, andrebbe intesa come un ulteriore livello di leggibilità direzionata nell’ambiente.

Il segno sequenzialista non ha alcun limite, come il linguaggio. Negli anni a venire sono sicuro che si evolverà in linea con i progressi comunicativi e informatici. Il Sequenzialismo nell’Arte è un linguaggio artistico basato sull’informatica, sul digitale e sulla fisica quantistica che si propone di raggiungere dimensioni inesplorate della conoscenza cariche di nuovi contenuti ancora da esperire in tutte le loro potenzialità”.

Essendo il Sequenzialismo nell’Arte un linguaggio strutturato su segni bidimensionali, la forma può assumere un duplice significato:

1) “plasmare” i segni-vettori nello spazio e nel tempo rendendoli più o meno decodificabili in base alla loro leggibilità strutturale.

2) “costruire” il modo in cui la realtà viene rielaborata attraverso i percorsi realizzativo-percettivi che coinvolgono l’occhio, la mente e le sensazioni.


Qualsiasi oggetto (animato o inanimato) presenta un’intrinseca e percepibile spazio-temporalità, riferita alle sue innumerevoli tensioni strutturali che possono essere esperite attraverso la “scelta” quantistica del loro ordine di lettura.


Il processo cognitivo che sviluppa, sia l’artista (elaboratore-codificatore) che l’osservatore (elaboratore-decodificatore) durante la fruizione, trova nella forma (hardware) lo stimolo iniziale e superficiale dal quale accedere successivamente al contenuto spazio-temporale espressivo dei segni (software).


A questo proposito vanno individuate (a mio parere) due fasi distinte inerenti l’elaborazione segnica:

1) Il riconoscimento, ovvero, il primo approccio cognitivo in cui, analizzando l’opera nella sua interezza, si riconoscono forme e pattern a noi consueti (frecce, numeri e unità).

2) Il calcolo, ovvero, l’analisi più invasiva in cui subentra il flusso logico e sequenziale del contare direzionato che attiva specifiche dinamiche spazio-temporali.


Per spiegare questo duplice e propedeutico processo di elaborazione espressiva, interpreterò tre opere di ACA, nelle quali evidenzierò i rispettivi approcci percettivi attribuiti al riconoscimento e al calcolo dei segni.

In Elaborazione Spazio-Temporale: Ritratto Estroverso [fig. 11]; il fattore di riconoscibilità è molto pregnante, merito dell’immagine fortemente evocativa.

[Fig. 11] ACA, Elaborazione Spazio-Temporale: Ritratto Estroverso, 2014, tecnica mista su carta, cm 29,7x21

Grazie all’utilizzo di macro-forme diversificate dal colore, il fruitore riesce a costruire nella propria mente l’immagine di un ritratto a mezzo busto.

Superata la barriera compositiva del riconoscimento si accede all’elaborazione e al processo di calcolo tra i segni:

- il percorso spazio-temporale inizia centralmente (segno 1);

- prosegue esuberante (segno 2, segno 3) verso l’esterno e verso l’alto (numeri-frecce), evidenziando il carattere del soggetto e le sue ambizioni (potenza in crescita);

- i primi tre segni-numero partono con un colore caldo (rosso), che salendo si illumina (giallo-arancio);

- i segni 4 e 5, duplicati e in direzione convergente, si oppongono con un andamento progressivo in caduta accompagnato dalle frecce, comunicando drammaticità.

Risultato: il ritratto sequenziale di un individuo ambizioso (segni freccia-numero 1-2-3), ma frenato da una condizione di negatività (segni freccia-numero 4-5).

[Fig.12 ] ACA, Elaborazione: Percorso Spazio-Temporale Espressivo 14.8.2007, 2007, tecnica mista su carta, cm 32x45

Ciò che suscita la mia attenzione in Elaborazione: Percorso Spazio-Temporale Espressivo 14.8.2007 [fig. 12] sono le reazioni che si scatenano dai collegamenti ipertestuali che avvengono tra le coppie binarie di segni 1-2 e 3-4:

- la separazione tra queste due coppie genera una lettura agitata e drammatica, rafforzata dal contemporaneo andamento altalenante del percorso (1 >2 ascesa in avanti; 2>3 discesa in avanti; 3>4 ascesa all’indietro);

- un cortocircuito multidirezionale (quello dei segni-numero) al quale si oppone quello unidirezionale e ascendente dei segni-freccia, che conducono il senso di agitazione spazio-temporale verso un’elevazione di matrice positiva;

- la struttura di questi segni-freccia procede stratificandosi esponenzialmente verso l’alto, rendendo la salita sempre più decisa e incisiva.

- in aggiunta alla lettura dei segni freccia-numero, i segni-unità (I-II-III-IIII) tradiscono la loro vicinanza estetica per esprimere, con la loro sequenza di saliscendi avanzante, l’agitazione che domina l’elaborazione.


Risultato: un’agitazione multipla (segni numero-unità) e positiva (segni freccia) che esprime eccitamento.


In Elaborazione Spazio-Temporale: Collisione Finale [fig. 13]; la purezza del percorso spazio-temporale espressivo, libero e indipendente, rende impossibile qualunque riferimento alla realtà.

[Fig. 13 ] ACA, Elaborazione Spazio-Temporale: Collisione Finale, 2019 ,tecnica mista su carta, cm 28x30

- La sequenza di lettura del percorso inizia dal segno-unità al centro (I), dal quale si biforcano due segni-freccia in opposizione;

- questi due segni-freccia puntano verso il segno-unità II, in basso;

- il segno-unità procede avanzando (frecce) per poi raggrupparsi (segno-unità III) in uno scontro direzionale (dal basso una forza e dall’alto due forze);

- Il percorso spazio-temporale si conclude verso l’alto (segno-unità IIII), dove domina uno scontro che amplifica quello precedente (segno-unità III).


Risultato: Dopo un inizio incerto e tranquillo (segni-unità I e II) il percorso si contrae in un conflitto negativo (segno-unità III) per poi risolversi positivamente in uno scontro ascendente (segno-unità IIII).

Visto l’approccio quantistico di ACA e le evidenti corrispondenze col mondo digitale, voglio concludere esprimendo un pensiero sul rapporto che intercorre tra contenitore (il supporto pittorico) e contenuto (l’elaborazione segnica spazio-temporale).


Nell’esecuzione analogica (pittura) la forma, così come il colore, troverà sempre un limite fisico (superficie/segno), vincolato allo spazio da riempire in un determinato tempo esecutivo con un numero finito di segni sequenziali.


Cosa diversa accadrebbe nel caso di elaborazioni realizzate in digitale, dove il limite dimensionale sarebbe costituito dall’intera rete globale: un singolo vettore (facente parte di un percorso) potrebbe ospitare all’interno della sua struttura altri infiniti percorsi.


Per comprendere meglio questo concetto si può fare riferimento alle immagini frattali [fig. 14], costituite da un unico modulo che si ripete all'infinito generando innumerevoli variazioni strutturali.

[Fig. 14] Esempio di un'immagine frattale

Dalla visione a occhio nudo fino alla misurazione degli atomi.



Anthony Francesco Bentivegna



NOTE


[1] A.F. Bentivegna, Episodio 6 Il colore (1/3). Da un colore analogico a un colore digitale. Intervista a L. Fisco, https://www.tinkit-magazine.com/post/episodio-6-forma-e-colore-1-3-da-un-colore-analogico-a-un-colore-digitale-intervista-a-fisco,in "www.tinkit-magazine.com" (09/01/2020.

[2] In riferimento ai valori di equità, che richiama la mostra personale di Franco Accursio Gulino del 2003, presso la Fondazione Orestiadi di Gibellina, dal titolo, appunto, “In Medio Stat Virtus”. [3]Un aspetto da approfondire in un futuro episodio dedicato allo sfondo.

[4] Gli Spettatori di Ferdinandea sono stati progettati per essere installati nei loggioni e tra la platea di un teatro.

[5] Diegesis: Storia o contenuto narrativo di un’opera, di cui gli eventi non sono necessariamente rappresentati in ordine cronologico.

[6] Un articolo sulla casualità? Molti effetti nella pittura di Gulino sono frutto di studi e di variabili scaturite dalla sperimentazione o da una calcolata casualità.

[7] Nel 2011 Franco Accursio Gulino espone a Nairobi (Kenia). La mostra è curata dall’Ambasciata d’Italia a Nairobi e dall’Istituto Italiano di Cultura. La mostra è stata presentata in occasione del 150° Anniversario dell’Unità d’Italia. Catalogo redatto da Sellerio Editore con testo critico di Carlo Bertelli.

[8] Un discorso a parte andrebbe fatto sulla produzione astratto-informale di Franco Accursio Gulino in cui è, invece, il colore e l’anti-colore a farsi portatore e codificatore del messaggio. [9] Si veda A. F. Bentivegna, “Quando l'Arte denuncia il materialismo”, in Franco Accursio Gulino. Black Friday, catalogo della mostra, a cura di Stefania Giacchino e A. F: Bentivegna, Spazio Agorà - Spazio Edicola, Palermo, 2018; A. F. Bentivegna, Quando l'Arte denuncia il materialismo https://anthonybentivegna.wixsite.com/arte/post/quando-l-arte-denuncia-il-materialismo



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