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Gibellina - Luci e Ombre

Immagine del redattore: Anthony Francesco BentivegnaAnthony Francesco Bentivegna

Un paese in ginocchio, provato, sconvolto, ormai ridotto in cumuli di macerie e disperazione. Notte di terrore, di afflizione, di sconforto e di tragedia. Cala il sipario sulle colline della Valle del Belice. Nell’oscurità più tenebrosa i gibellinesi sopravvissuti vivono un Medioevo di angoscia e di lutti. Ma anche la notte più buia finisce, dalla tragedia il paese lentamente si rialza, grazie alla forza di volontà degli abitanti e alle azioni di uomini lungimiranti come il sindaco Ludovico Corrao.


Questo neo-Lorenzo de Medici riesce a trarre fuori dall’oscurità il paese deturpato donandogli nuova linfa vitale attraverso la promozione culturale. E dopo il suo personale Medioevo, come una fenice, Gibellina risorge dalle ceneri vivendo attraverso l’amministrazione comunale e artisti di fama internazionale un Rinascimento contemporaneo.


La città vecchia trasformata dagli interventi site-specific di artisti come Alberto Burri, Piero Consagra, Mimmo Paladino, Emilio Isgrò, Elio Marchegiani, Arnaldo Pomodoro, Mimmo Rotella e altri, attiva un meccanismo propositivo che fa eco in tutta la Sicilia diventando un esempio virtuoso di Museo-diffuso. Il “Progetto Gibellina” non assume la valenza di meteora o di comparsa nella storia dell’arte contemporanea, ma grazie alla sensibilità dell’amministrazione, negli anni successivi, si fa promotrice di numerosi eventi.


Luce e ombra, viste come un passaggio tra notte e giorno, tra Medioevo e Rinascimento, tra distruzione e creazione ma anche come equilibrio spirituale che si riscontra nella filosofia cinese dello yin e yang (nel male risiede sempre un po’ di bene e nel bene si nasconde sempre un po’ di male).


Analoga ideologia dell’equilibrio si ritrova nella personale di Franco Accursio Gulino In Medio Stat Virtus (la virtù sta nel mezzo), voluta nel 2003 dall’ex sindaco Corrao, nonché presidente della Fondazione Orestiadi.  


Nei suoi quaranta scatti, il diciottenne autodidatta Vito Faraci Urso, cattura le luci e le ombre della zona evidenziando la drammaticità e la liricità di un territorio che negli ultimi cinquant’anni ha manifestato attraverso il fare artistico il suo Genius Loci.


Franco Accursio Gulino, un artista nel pieno della maturità di ricerca e Vito Faraci Urso, giovane fotografo dall’acerba esperienza, un incontro che non sarebbe mai avvenuto se non nel mondo dell’arte, un mondo iperuranio che ha trovato in Gibellina la sua coagulazione fisica: uno spazio senza tempo.


Con la fotografia, Vito Faraci Urso costruisce – attraverso tagli prospettici, inquadrature insolite e solidi geometrici (architettonici e scultorei) – composizioni costruttiviste in cui viene dato largo spazio ad interpretazioni psicanalitiche. In alcuni suoi scatti il cielo viene annullato, grazie alla completa saturazione del colore dove solidi (edifici e installazioni) dominano violentemente per contrasto.


Che Faraci Urso vuol comunicare una sorta di intralcio o di ostacolo che gli impedisce di raggiungere il suo obiettivo? È interessante notare che questi presunti ostacoli non sono composti da forme chiuse, bensì da elementi che gli permettono un’emersione.


Le sue inquadrature “ascendenti”, ovvero, dal basso verso l’alto, sono come se fissasse, da un fondale marino, la luce che lo guiderebbe a risalire a galla. Formalmente il giovane fotografo ricerca un esasperato geometrismo nel taglio fotografico e nelle continue ombre proiettate, che riescono a scorporarsi dai solidi per diventare elementi compositivi autonomi seppur vincolati alle loro matrici.

Vito Faraci Urso, Gibellina, 2017, getto d'inchiostro su carta fotografica, 50x30 cm.

Il principio di costruzione in Franco Accursio Gulino emerge non dall’inquadratura ma dalla plasticità della sua opera pittorica e scultorea.


Nei Tabularium, come nelle Porte, esposti presso la Fondazione Orestiadi, attraverso il medium della pittura l’artista entra all’interno della materia e trae fuori una seconda e rinnovata vita: oggetti di scarto, ruderi e frammenti di imbarcazioni dei clandestini morti in mare diventano scrigni di conoscenza, di sapienza e di memoria degli ultimi. Il suo intervento trasforma alchemicamente la materia bruta in materia pura, l’uomo vecchio in uomo nuovo, lo scarto in oggetto artistico “La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo”.


Il compianto Corrao, molto probabilmente, aveva intuito le potenzialità della “riqualifica guliniana”, ennesima prova che dalle macerie può emergere un museo e dai relitti di navi opere d’arte. Gulino non si serve soltanto della forma e del colore, ma anche della luce, sia quando questa colpisce i libri e sia quando le ombre si annidano tra un libro e un altro.

Franco Accursio Gulino, Tabularium, 2002, installazione olio su legno, 83x100x23 cm.

Le porte spalancate del Tabularium non sono altro che il simbolo di apertura alla cultura, il sipario di un teatro di tenebre e splendore, di disperazione e speranza, di relitti e opere d’arte: un ritratto idealizzato della città di Gibellina immortalata tra le sue luci e le sue ombre.

Anthony Francesco Bentivegna


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© 2020 by Anthony Francesco Bentivegna

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