Lager, Auschwitz, sterminio, camera a gas, forni crematori, …
Parole terrificanti che riportano alla mente immagini di crudeltà e di atrocità che i prigionieri ebrei subirono dalle rappresaglie naziste.
Auschwitz = fabbrica dell’orrore, del massacro e della morte, dove milioni di ebrei privati della loro dignità, strappati dalle loro famiglie e dalle loro case, trattati come animali, usati come cavie, vissero gli ultimi istanti della loro vita nel terrore, ma anche nell’anelare la morte, vista come unica via per esorcizzare le proprie sofferenze, con l’unico rammarico di non poter riabbracciare per l’ultima volta i propri cari. Quella del Terzo Reich fu una vera e propria manifestazione di atrocità, che voltando le spalle all’etica e alla moralità, scrisse una delle pagine più tragiche di tutta la storia: lo sterminio di massa. L’Olocausto.
Un’inguaribile ferita inferta all’umanità, diventata oggetto di studio per artisti contemporanei, anche per quelli che non hanno vissuto sulla loro pelle gli orrori della guerra. Ancora oggi, nonostante siano passati 83 anni, libri, documentari e film trasmessi al cinema e alla televisione suggestionano i loro animi e stimolano la loro produzione artistica. Ciò che questi artisti si sono posti è l’incognita di cosa accadde dietro le recinzioni di filo spinato elettrificato. E immaginando di oltrepassare la barriera, si ritrovano come incaricati al servizio di avanscoperta.
Luoghi, uomini, pensieri.
Le fotografie di Yaroslav Sobko mostrano alcuni scorci di Aushwitz, proponendo il campo di concentramento come ormai un non-luogo. Il tema che Sobko affronta è la solitudine e un lieve bagliore di speranza verso questo girone infernale.
I ritratti di Leonardo Fisco ci permettono di oltrepassare la recinzione, di vedere con i nostri occhi i volti dei deportati nel campo. Nel loro sguardo si può leggere tutta l’afflizione e il dramma di una comunità che ha dovuto rinunciare ai propri sogni. Le teste e i visi abbozzati in una plasticità spigolosa e squadrata ricordano molto la ritrattistica espressionistica romana del sec. II d.C. Emergono, infatti, i tratti somatici: naso e occhi scavati, seguiti da altri elementi di rapida riconoscibilità come le divise a righe che si intravedono, i capelli corti, la pelle emaciata, il corpo ossuto e denutrito, dove la pelle viene sorretta dalla cagionevole struttura ossea. Le espressioni tragiche e rassegnate restano immutabili, indipendentemente dall’età dei prigionieri. Il colorire di Fisco accorda le intonazioni degli stati d’animo angosciosi ed esasperati, ciò si ripercuote nel pallore cromatico dell’epidermide, seppur conservando la caratteristica brutalità di contrasto tra colori freddi e caldi.
Si superano le barricate, i cancelli, le camerate e persino la pelle degli ebrei, per approdare al mondo più intimo dei reclusi, ovvero quello della mente. E scavalcando un’ulteriore barriera, si approda al pensiero. Cosa ci mostra Franco Accursio Gulino? Nient’altro che ricordi, rimembranze, immagini poco nitide, che hanno segnato e ormai stravolto la mente di questo popolo: bombardamenti, guerre, cadaveri smembrati, esemplificati bene dalla materia pittorica di Gulino. Un cocktail di caos, in cui i pensieri più remoti e recenti si mescolano insieme e vengono manifestati dall’azione della scrittura. E proprio come prigionieri dei più antichi carceri, il raptus gestuale trova come unico sfogo le fredde e dure mura della cella, tramite dei gessi di fortuna, quasi un gesto a cavallo tra documentazione e valvola di sfogo per la frustrazione di aver perso tutto. La scrittura arcana di Gulino si pone come rivendicazione delle proprie idee, come unico valore che i nazisti non possono mai sottrarre: il pensiero.
Per non dimenticare le vittime della Shoah e quindi lo sterminio degli ebrei, oggi, come ieri, nel giorno della memoria, momento di riflessione su quel tragico evento, si apre anche una breccia verso la nostra contemporaneità, verso le problematiche più attuali.
Anthony Francesco Bentivegna
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