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Immagine del redattoreAnthony Francesco Bentivegna

Lo studio dei modelli

Aggiornamento: 17 mar 2020

Qual è la corretta formazione, la corretta prassi, il corretto metodo per diventare specialista di qualsiasi disciplina?

La risposta esatta è: lo studio.


Studiando nozioni, teorie, manuali, formule, etc.., inevitabilmente si formerà in noi una coscienza critica. Come ogni professione intellettuale, anche l’artista deve sottostare a un progressivo sviluppo formato da tappe propedeutiche: l’una con l’altra formuleranno insieme la ricetta della giusta maturazione di un valido artista.


In passato, le tappe fondamentali di una formazione artistica erano: lo studio delle statue greche, considerato il punto più alto dell’Arte di tutti i tempi; e la “mimèṡi” vista come imitazione della realtà e della natura. Nel corso della sua maturazione, l’artista percepiva degli stimoli che si concretizzavano con gli influssi scaturiti da altre personalità (geograficamente vicine a lui) o correnti artistiche. Queste derivazioni stilistiche e formali confluivano nel senso estetico del creatore d’immagini e ne forgiavano il gusto.


Durante il Novecento, si è sentita la necessità di tornare a una primordiale Pangea, a uno stato rudimentale, a un’involuzione formale che si manifesta con la nascita delle Avanguardie, l’argomento di ricerca si sposta non più su un passato di tipo storico, ma geografico, motivato da una regressione sociale e culturale. Così, già nell’Ottocento, Paul Gauguin (1848-1903), primogenito di una nuova leva di pionieri, evade da una società di cui non si sente più appartenente, per cercare una natura incolta, dove l’ingenuità primitiva si fonde con la magia e la troverà tra i miti indigeni della Polinesia; come lui anche altri (durante il Novecento) cercheranno la purezza altrove, trovandola in espressioni spontanee: come Pablo Picasso(1881-1973) nella scultura negra, Wassily Kandinskij (1866-1944) nella pittura infantile e Jean Dubuffet (1901-1985) nei graffiti e nella pittura degli alienati.


Con le neovanguardie, l’arte comincia a mutare radicalmente, la ricerca si sposta da formale a tipologica con espressioni performatiche, da organica diventa inorganica. Oggi, non sono molti gli artisti che sentono la necessità di un ritorno al passato sulla linea sperimentalistica della metà del Novecento.


Vi è, però, un problema nell’assimilazione dei stimoli formali, problema che rischia di sfociare nella mera imitazione, ovvero, nella famelica dipendenza dal modello, fino a piegarsi ad esso.


In tutta la storia dell’arte, possiamo riscontrare tributi, sia fatti a personaggi, sia fatti a icone. Uno dei tanti casi è quello del ciclo delle Bagnanti, in cui Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) esaminando precedenti studi di Paul Cézanne (1839-1906) sul citato soggetto, ne elabora la sua personale interpretazione.


Il confronto con il maestro porta a due strade: la prima, in cui l’artista rischia di soccombere al modello, diventando un imitatore, un copista, un falsario; la seconda, sicuramente più tortuosa ma redditizia, in cui l’artista può assimilare tutto quello che ha appreso, esternandolo: con il proprio carattere, con il proprio temperamento, con la propria unicità.

Questo bivio porta all’essenziale metro di misura per discernere un tardo epigono da un vero demiurgo.

Circolo di Cultura Sciacca. Sala espositiva "Vincenzo Nucci"
Circolo di Cultura Sciacca. Sala espositiva "Vincenzo Nucci"

Leonardo Fisco è da considerarsi un insaziabile ricercatore formale e materico. Artista maturo, ha percepito il tardo eco delle avanguardie e tutt’ora porta avanti quella tradizione novecentista che fa emergere dal suo pennello i vari modelli e stili.

Possiamo percepire le scomposte forme picassiane, convivere in sinergia con le pesanti sciabolate cromatiche degli espressionisti tedeschi (Die Brücke), e tutto, sotto la regia del segno sicuro, corretto, risoluto, discendente dalle tendenze degli anni Quaranta – Cinquanta europee (Informale) e americane (Espressionismo Astratto).


Nella sua pittura vi è un’avida assimilazione, seguita da un filtro che gli permette di raggiungere unicità e inconfondibile riconoscibilità.

Leonardo Fisco, "I volti di una vita", 2009, olio su tela, 70x60 cm.

Fin dalla giovane età Leonardo Fisco sognava di diventare un artista. Bramoso osservatore di forme nuove, voglioso, allora, come oggi di ricercare la purezza della forma, nella Sciacca del dopoguerra, dove Picasso era un mito per pochi e un anonimo per molti, il giovane Fisco scopre il Castello Incantato e Filippo Bentivegna (1888-1967), uno scultore dell’Art Brut che influenzerà non poco la sua formulazione della forma. Oggi, cinquant’anni dopo la morte del celebre scultore (che isolato nel suo mondo, aveva scoperto il suo istinto primordiale, manifestandolo in veri e propri atti tribali di aggressione alla materia, cavandone figure tanto semplificate, quanto suggestive), Fisco vuole ricordarlo con la serie “I volti di una vita”.


E’ chiara l’ammirazione di Fisco per la genialità, la fantasia e soprattutto per «la sua unica e personale forza espressiva».

Leonardo Fisco, "I volti di una vita", 2008, olio su tela, 70x60 cm.

Fra i due artisti vi è un’enorme differenza: Leonardo Fisco, pittore colto e eclettico, esercita sulla tela un brutale trattamento dato da un tempestoso connubio segno-colore; Filippo Bentivegna, personaggio pittoresco, stravagante, un’autodidatta, affrontava i suoi incubi e i suoi demoni proiettandoli e cavandoli dalla nuda pietra con arnesi di fortuna.  


Come trovare un perfetto legante, se non “il segno”? L’intersezione tra i due sta nella decodificazione che Fisco con diversi personali elementi sulla tela, emula il forte percuotere del Bentivegna sulla materia pietra.


Da questo scontro tipologico, notiamo i lineamenti della scultura di F. Bentivegna caratterizzata da soggetti che tormentano la sua mente, in bilico tra favoloso e mostruoso, raggruppati in grovigli e grappoli dove emergono: teste, demoni, serpenti, feticci e creature antropomorfe che riprendono le fattezze della donna, ora bicefala ora tricefala.


Tali composizioni trovano spazio, nella tela di L. Fisco, come emergenti da un mare agitato da intuitive sciabolate di colore, accentuati da forti contrasti che mirano ad intrecciarsi con i valori formali della sua pittura.

Leonardo Fisco, "I volti di una vita", 2008, olio su tela, 130x100 cm.

Suo obiettivo è estrarre i contorni formali dell’outsider e rivestirli delle vestigia cromatiche e segniche di cui la sua produzione è intrisa.


Facendo ciò, riesce a scandire con il colore i battiti della scultura monocroma e tribale del Bentivegna, caricandola di sentimenti e suggestioni contrastanti. Marcando con una pittura d’azione selvaggia, orientata da bruschi contrasti cromatici e audaci pennellate intrise di colore fluido, sublima i profili psicologici che le “Teste” già posseggono da veri protagonisti indiscussi della tela.


Una conquista plastica segue un corretto equilibrio compositivo, sia formale che cromatico, dove il segno e la costruzione dei corpi, evidenziano le reminiscenze degli essenziali tanto finiti omuncoli di Matisse (1869-1954).

Leonardo Fisco, "I volti di una vita", 2009, olio su tela, 70x60 cm.

In tutti i lavori di Leonardo Fisco, riscontriamo il desiderio di convivenza tra spirito nordico (percepibile nell’impervia pittura dell’espressionismo tedesco), e mediterraneo (che abbozza le matrici fisionomiche della nostra terra: volti di fiera donna siciliana e espressioni caricaturali di uomini).


Una dualità tra Nord e Sud, che si sposa bene con l’impulso che spingeva F. Bentivegna a fondere le masse multietniche delle grandi metropoli americane, con l’espansivo folklore dei piccoli centri, per realizzare i suoi fidati guardiani di pietra colmando, così, i vuoti e gli affetti mancati.


Ciò che dobbiamo veramente chiederci non è quanto della scultura di F. Bentivegna ci sia nella pittura di Fisco, ma quanto questo studio si sia spinto oltre il mero tributo fatto allo scultore per diventare una pura sperimentazione formale e compositiva che testimonia il suo mutevole e proteiforme percorso.

​​​

Anthony Francesco Bentivegna

Pubblicato in: "Il Fatto Popolare - settimanale di fatti locali e nazionali", Numero 236 del 21/07/2017 Anno VI - 2017


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