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Memorie. Nadia De Giorgio

Immagine del redattore: Anthony Francesco BentivegnaAnthony Francesco Bentivegna

Aggiornamento: 21 ago 2023

Nadia De Giorgio nutre in sé un materno istinto primordiale che le consente di trarre dai materiali molteplici possibilità espressive scaturite da un processo di scomposizione e alterazione della realtà come mero oggetto.

Tali processi sono fini a colmare vuoti percettivi con archetipi formali ed informali, saturati da significati simbolici personali e meta-personali compressi in una composizione cruda e viscerale popolata da un accavallarsi d’individui alla ricerca di una dimensione ideale, uno spazio di vita negato da un’asfissiante oppressione, frutto di una brutale ferocia umana. Essi diventano emblemi di una vorticosa dimensione onirica che fonde e confonde fattezze e fisionomie, enfatizzando, allo stesso tempo, i lineamenti cardine che non sfuggono alla malizia: uno sguardo esterrefatto, un ghigno di disgusto, un sorriso sornione…

Tale tendenza si ritrova anche in diverse elaborazioni astratte, dove forme di geometria passionale ingombrano un ambiente con assenza di gravità: cerchi, triangoli e striature di colore diventano nuclei fluttuanti in un universo ancestrale da cui emergono crateri lunari, nebulose scie luminose e astri intrisi di luce propria. L’autrice nel logos dei suoi elaborati ricerca una precarietà che sintomaticamente confluisce nel materiale stesso quasi purgato dal tempo, dalle intemperie e dalle cicatrici che l’esistenza scava sulle superfici fisiche: un’epidermide materica sovraccaricata dal fardello di un significato espressivo e fattuale come un resoconto schietto e liberatorio.

È proprio nella ricerca del materiale (che si fa materia) l’incipit di ogni sua espressione: la materia muta si tramuta nel sostegno di quel preciso attimo emotivo; il contenitore ed il contenuto si sgretolano. Il materiale di scarto, che naviga in balia delle onde dell’indifferenza della nostra contemporaneità, assume con il segno, la forma e il colore un significato sociale.

Il segno, infatti, nel fondersi e confondersi con la materia, intreccia e scalfisce un’aspra crepa ramificata in un racconto autogeno, che per necessità vitale fagocita e metabolizza qualsiasi elemento indispensabile e fondamentale alla corporeità del significato/significante di ogni opera.

Il colore viscoso diventa per l’autrice il collante che imbriglia, come una tela di ragno, aspetti sentimentali e cognitivi maturati da una struggente e vaporosa malinconia, un respiro caldo che assale il fruitore, pizzicandone le corde più tese, più sottili, prossime ad un’imminente rottura.

Un’analisi, una contemplazione e a volte un requiem del momento stesso. Un qui ed ora in cui si concentra una necessità espressiva che rigetta continuamente sulla superficie stilemi linguistici, alternati da un ritmo convulso e dissonante, originati da un cosmo talmente identitario che diviene terra collettiva.

È da tale spazio che sussulta una volontà d’azione intenta a rincorrere, al contempo, astrazione e figurazione: due processi che nell’atto creativo diventano entità autonome e senzienti, che Nadia De Giorgio spesso costringe e lega insieme. Una forma espressiva esplicata con spontanea e pagata irrazionalità, che non rinuncia ad un’interazione tra la motivazione e la restituzione del suo acquisire ed espellere informazioni.

Il 2014 è l’anno in cui Nadia De Giorgio inizia il percorso di riscoperta di se stessa e delle potenzialità espressive dell’arte come attività terapeutica ed apotropaica, in risposta a quelle che sono state le dinamiche e le forze più significative che l’hanno cullata ed agitata. Forze che esplodono in mille direzioni come schegge impazzite e rinnegano un linguaggio definito. La mostra - non a caso - intitolata Memorie, racchiude alcune delle “immagini” (ricordi/memorie) più vivide vissute ed impresse dall’autrice sul supporto: tante porte socchiuse che celano i vari aspetti della sua anima e suonano tra di essi, spesso in maniera dissonante, ma magicamente armoniche.

Anthony Francesco Bentivegna Storico dell’Arte


 
 
 

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