Sicilia, terra insolita, per certi versi paradossale e contraddittoria, una terra che conserva innate bellezze paesaggistiche, artistiche e folkloristiche, ma che nasconde anche tutti gli accidenti di una regione morbosamente attaccata a valori come l’onore, il rispetto che spesso diventano genetrici di luoghi comuni che mai il siciliano potrà scrollarsi di dosso.
Questi due facce della Sicilia sono presenti nel saggio Occhi per taliare di Lo Scrudato. Nel testo, si percepisce il suo forte amore e attaccamento verso la sua terra, manifestato verso l’attrazione ai colori, ai sapori e agli odori che questa regione porta con sé.
Prima dell’Unità d’Italia (1861), la Sicilia era una regione ricchissima, basti guardare le miriade di opere e monumenti che sono stati lasciati dai Borbone nei due esili in Sicilia. Come: La Cantina Borbonica di Partinico, la casina di caccia di Re Ferdinando IV (Napoli 1751 – 1825) alla Ficuzza, la casina alla cinese alla Favorita della moglie Maria Carolina (Vienna 1752 – 1814), per non parlare dei vari abbellimenti apportati al palazzo dei Normanni come la Sala Ercole (1799) dipinta da Giuseppe Velasco (Palermo 1750 – 1827) e le decine di palazzi e ville baronali come: Palazzo Drago, Palazzo Valguerana, Palazzo Comitini, Palazzo Butera, Palazzo Mirto, Palazzo Bongiorno, Villa Resuttano, Villa Palagonia. Tutti grandi edifici che conservano come uno scrigno gli affreschi e le tele dei grandi pittori del tempo come i Pietro (Palermo 1705 – 1759) e Gioacchino Martorana (Palermo 1736 – 1779), Gaspare Serenario (Palermo 1707 – 1759), Vito D’Anna (Palermo 1718 – 1769), Gaspare Fumagalli (Roma 17? – Palermo 1764). Anche le decorazioni, come le grandi committenze del periodo, certificano il forte benessere presente in Sicilia nel periodo pre-unitario.
Dopo i Borbone si insinuarono i Savoia che attinsero alle risorse del Sud per pagare i debiti nazionali della guerra d’indipendenza. Tali fondi servirono anche per l’edificazione di banche nel Nord Italia lasciando il Sud alla fame con la conseguenza dell’inedito fenomeno migratorio verso le regioni settentrionali da parte di molti nostri conterranei.
Questa unione tra il Nord e il Sud, non fu ben vista dai contadini del Mezzogiorno, che mossi dalla fame e dalla povertà, cominciarono a ribellarsi con atti violenti e illeciti, riunendosi in organizzazioni a delinquere che oggi conosciamo come Mafia.
Tornando al testo, la Sicilia illustrata da Lo Strudato, è una terra senza tempo. Una Sicilia che seppur percepisce le tendenze, le mode, le tecnologie, le innovazioni, i modi della globalizzazione, rimane in una dimensione metafisica dove si trovano tutt’oggi colori caldi, sapori, odori di un tempo passato. Una Sicilia che dietro le sue bellezze paesaggistiche e artistiche nasconde un lato oscuro animato dalla mafia, dal brigantaggio e dal familiarismo.
Esiste una Sicilia voluttuosa, verace, rustica, ancora sommersa nella semplicità del lavoro agricolo e ancora credente a miti e leggende.
Esiste una Sicilia, sanguinaria, vendicativa, che può togliere tutto, serrando la bocca e gli occhi ai più deboli. Una Sicilia che ha affrontato guerre e terremoti ricostruendo con lentezza.

Di questa Sicilia tra luci e tenebre, tra bene e male, tra yin e yang troviamo in campo artistico due esponenti della pittura neorealista italiana. Due pittori che frequentarono lo studio del futurista palermitano Pippo Rizzo. Due artisti che fecero parte a Milano del gruppo “Corrente” (1938-40) Renato Guttuso e Gianbecchina.
Gianbecchina nato a Sambuca di Sicilia (AG) nel 1909 e morto a Palermo nel 2001. Dal ritorno da Milano, Gianbecchina ha chiaro il suo obiettivo artistico: la valorizzazione di una terra e di abitanti dimenticati dal mondo frenetico più moderno. Discostandosi da ogni forma retorica e politica, sposta invece la sua attenzione verso la realtà etno-antropologica dei suoi conterranei,immortalando l'abilità degli artigiani, il sudore dei contadini, le bizze degli animali; tutti personaggi di una grande scenografia formata dai colori raggianti e bruciati della calda atmosfera siciliani.

Arrestando la scena, rappresenta questi lavoratori dai volti bronzei e corrugati dal sole, interpretando il rapporto tra uomo e natura come lotta per la sopravvivenza, valorizzando la dignità della fatica. Nel dipinger scene come Il ciclo del pane (1975 c.), o La Mattanza (1973-75), si assiste ad un processo di sinestesia, dove i colori rievocano in noi gli odori, i sapori e le voci dei lavoratori.

Renato Guttuso nasce a Bagheri (PA)a nel 1911 e muore a Roma nel 1987. Diversamente da Gianbecchina, Guttuso vede la sua arte come impegno sociale, tanto da utilizzare la pittura come estensione della sua carriera politica incentrata sulla lotta al fascismo e agli umori bellicosi della Seconda Guerra Mondiale.
Rifiutando ogni canone accademico, stilisticamente, rivolgeva la sua attenzione agli espressionisti o ad autori come Pieter Bruegel (Breda 1525/30 – Bruxelles 1569), Francisco Goya (Fuendetods 1746 – Bordeaux 1828) (nel suo periodo maturo) e Van Gogh (Zundert 1853 – Auvers-sur-Olse 1890).

In opere come la Fucilazione in campagna (1939) sotto l’influenza dell’espressionismo picassiano o La fuga dall’Etna (1940) ispiratosi al Trionfo della Morte di Palazzo Abatellis di Palermo, o La Crocifissione (1941).

Avvertiamo un “processo di empatia” dal greco “εμπαθεία” (empatéia) letteralmente “sentire dentro”.
Attraverso le sue pennellate e i suoi colori slegati, le ispessite forme anatomiche, le ombre geometrizzate nei contrasti, riesce a farci condividere il dolore, il dramma, la sofferenza e il pathos delle vittime dei suoi quadri.
Gianbecchina riesce a guardare il bello della Sicilia, diventando poeta e sacerdote della natura. Guttuso ci mette accorrente delle atrocità belliche, delle calamità che mettono in ginocchio un’intera popolazione.
Gianbecchina punta alla sensazione, Guttuso al sentimento. Due autori che bene riescono a rappresentare la controversa dualità siciliana; due facce della medaglia che, come nel simbolo cinese dello yin e dello yang rappresentano due sfaccettature indissolubili e inseparabili tra di loro.
Anthony Francesco Bentivegna
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